lunedì 19 giugno 2006

Raccontami una storia...


Jun*??...dimmi!...no, niente...??...


Jun*??...sono qui...raccontami una storia...che storia???...???...una storia che sappia di te, e che sappia di me, e che sappia di noi…un velo…bianco, e il mare.

Jun*??...dimmi!...raccontami una storia…ok.

I pensieri…che cosa strana pensare. Che strani i pensieri di Jun*.
Quasi non esistono.
ESISTERE. Pensieri esistenti non ci sono…altrimenti non sarebbero pensieri…e che cosa allora? VITA. Quando non pensi è l’attimo in cui vivi. Trovalo! Io lo cerco. Ma cercarlo e fugarlo. Jun* aspettava. Sapeva di non stare vivendo. Pensava uno strano nome. Mormy. Esistenza indefinita.
Mormy era il pensiero di Jun*.
JUN* ASPETTAVA QUEL GIORNO CHE L’AVREBBE VISSUTO. VIVERE…UN VELO. PER PAURA o altro non veniva mai chiamato col proprio nome questa poesia. Mare. O cielo. O velo. Ora velo. L’amore.
L’AMORE, UN VELO…HAI PAURA DI DIRLO. POTREBBE SCIUPARSI. TROPPO DELICATO E’ QUESTO NOME. SOLO A PENSARE. Pensare il velo…e l’amore potrebbe svanire. Perché è bianco. Tra le lenzuola, bianche. Intatte. Ancora pulite, per non sciuparle. Mormy non poteva consumare delle lenzuola bianche.
Nella poesia non c’è tempo. Niente deve essere consumato troppo presto…

Il mare non finisce. Il mare non è come le storie inventate…il mare non inizia. Il mare non è come le storie inventate. E le lacrime…in effetti le lacrime hanno sempre un sapore dolciastro. E il retrogusto è mare. Ma nelle lacrime puoi morire senza soffocare. Il mare…è diverso. Lì continui a vivere. Anche soffocato nel corpo cullato dal mare alberga l’anima.

Trema Mormy. La cosa più straziante…Mormy non vorrebbe. Ma ha freddo. Quanto freddo che c’è in ognuno di noi. Uomini finti. Uomini veri. Ognuno paga le conseguenze di ciò che è. Perché si è sempre qualcosa. Mai nulla. Cenere che vola e si disperde…nel mare…mare e onde. Onde e musica…mai nulla. Cenere alla fine tra la sabbia su una spiaggia mai vista o pensata e solo ora vissuta…mai nulla.

Jun*??...dimmi!...ti voglio bene…

Andre??...dimmi!...no niente…

sabato 10 giugno 2006

இ___E___இ


Freddo, pioggia, musica.

Si cammina, si continua. Il quotidiano ripetersi pare coglierlo e distrarlo.
Passo deciso il suo. Sicurezza e fierezza. Bellezza e lucidità.
Testa alta. Occhi bassi. Solo lui può.

La pioggia non gli è indifferente. La sente in faccia e la sente in corpo. Gli entra quasi dentro, e quando sorvola, sorretto da vuoto di memoria e fasullo sentimento, la pioggia tintinna in sé.
Non gli piace. Non sa come evitare.

Alla gente lui non è indifferente. Non può essere indifferente.
Il ponte segue il suo incedere. Il ponte spia il suo passare.

Parrebbe normale - lo è - e lo sa.
Parrebbe speciale - lo è - e non lo sa.

Conosce la musica. Glielo si legge negli occhi. Conosce la musica per quello che è, e non per quello che la gente pensa che sia. Sa di stelle del nord la musica di oggi: ibernanti incendi di ori lontani.
Lascia impreparati la sua voglia di conoscenza. Lascia interdetti la sua conoscenza. Lascia straniti la sua parvenza di tranquillità.

La pioggia inizia ad infastidire. Il freddo si fa pungente.

Il ponte segue il suo sguardo. Il ponte spia la sua eleganza. Occhi neri e mani grandi. Vuoto e casa. Ma lui non pare nasconderlo (il vuoto) e fa delle sue mani la casa dei più.
La gente lo ammira, non per quello che è, ma per quello che pensa lui sia. E spesso non coincide. Cosa questa che gli è totalmente, giustificabilmente, indifferente.

Tragitto lungo il suo. Sotto la pioggia pare un ombra: una di quelle che attira gli sguardi colorati e festanti.
Non ha tempo. Lo rincorre ogni qualvolta.
Le stelle ibernanti di oceani lontani gli ricordano, col passare, di affrettarsi.
Sa bene quel che vuole e la sicurezza è cosa sua.
Passa tra le gente. Vede altra gente. Scorge un maschera…nera.
Deve andare.
“Lacrime di Dio” non cessano di cadere nelle sue orecchie. Attimi confusi e bagnati lo spingono in aula.

E’ dentro.
E’ quasi pieno.
Le lacrime cessano.
Seconda fila. Esterno.
Inizia un racconto su tangenze di infiniti. Sorride e non si perde.

இ___J___இ


Freddo, pioggia, musica.

Si cammina, lungo la via, verso l’inatteso.
Si decide di percorrere quei passi senza troppa convinzione, come chi sa ed è li a sorridere.

La pioggia pare non sentirla. Il disturbo è più negli altri che la vedono così, strana…viva si direbbe. Così riluttante a coprirsi…o forse semplicemente non ci pensa.
Chissà a che pensa si pensa nel seguirla.

Strana ragazza lei. Lei no, non è normale, il che ne farebbe un qualcosa di speciale. Strano tipo lei.
Ricerche di straordinario paiono sfiorarla.

Sembra accompagnare la pioggia nel movimento circolare della vita…la sua. E’ una danza. Sembra conoscere la nostalgia, trovarne il volto velato e triste nella folla colorata di un ponte festante e portarla con sé, nella sua danza, sotto una pioggia che le bagna un sorriso.
E’ musica d’oriente quella che ha in testa. Musica di un settembre in Turchia. Musica che spazza i pensieri come un vento che ti accarezza, ti parla, e pensi quasi che ti voglia bene.

Strana faccia la sua…fa le mosse. Profondi occhi i suoi…credi ti comprendano, credi ti capiscano, credi ti rendano nudo, pensi siano lì ad aspettare proprio te. Bocca ricercata la sua: uomini e donne l’hanno sognata nella storia una bocca così, pensi che uomini e donne l’abbiano cercata nell’arte una bocca così.
La pioggia comincia ad infastidire. Il freddo si fa pungente.

Comincia ad affrettarsi, l’aula è lontana, la lezione meno.
Ragazzi colorati l’avvicinano sotto pioggia. Fanno tenerezza. Lei sorride, cordiale come una sorella. Sorride, non si ferma. Sorride sincera, bisogna dirlo, ma non si ferma. Vuole arrivare a lezione.
E’ riconosciuta sul ponte. La gente sembra vedere in lei quello che non c’è in loro: alcuni se ne contentano altri meno.

Cammina lungo la via. La musica non si ferma. Il vento vuole parlarle, lei pare ascoltarlo…lei pare capirlo…e sorride.

Ponte
Porta
corridoio
scala interna
si scende…

un piano
un secondo
corridoio
porta
aula
dentro.
Poca gente ancora.
Il Bosforo d’autunno sa di poesia.

Cammina con le cuffie in testa. Bagnata, la testa e non solo. Sguardo attento ma rilassato il suo. C’è ancora tempo. Siede. Prima fila esterna. La musica tace.
Prende un libro dalla sua borsa e inizia a leggere di una spiaggia tra le ultime colline e il mare nell’aria fredda di un pomeriggio quasi passato…sorride e si perde.

venerdì 9 giugno 2006

இ___M___இ


Freddo, pioggia, musica.

Si cammina, lungo la strada, verso la sera.
Si cammina percorrendo quei passi che sembrano rievocare quotidiane distrazioni.

Musica. Sono gli amici Afghan ad accompagnare il suo sguardo. Dietro il nero della maschera i suoi occhi vanno all’impazzata come bussola di dogana. Seguire il suo movimento: improbabile. Capire il suo movimento: impossibile.

Prosegue. Passo lungo il suo. Meno deciso dell’ipotesi. Faccia pulita la sua, più di quello che lui ritiene necessario. Sorriso sornione e sincero il suo. Sa di jolly, sa di non esserlo. Vuole non considerarlo.

La pioggia inizia ad infastidire. Il freddo si fa pungente.

Idea del cazzo quella di andare a piedi…quanto meno discutibile. Il ponte è percorso da gente originale.
Originale lì sta per strano, anomalo, non sistematico. Lui: normale…il che di per sé sa di speciale. Non si sa perché: forse è la musica…quella che ha dentro, quella che si sente nel passargli accanto…quella che si pensa di intravedere dietro la maschera…nera. E’ musica di ancestrale sbattimento la sua…ancestrale sbattimento che in realtà sembra segnarlo ed evidenziarlo all’altro. Per questo sembra amato…per questo è disprezzato.

Pare non rendersi conto del colore che il ponte sembra emanare sotto quel grigiore di pioggia e nebbia. E’ come se tutto ciò abbia ai suoi occhi un interesse alquanto limitato.
Ma in fondo la sua è pur sempre una maschera…nera. Dietro c’è un modo di vivere il ponte, il colore, la pioggia ed il grigiore di difficile lettura. Magari l’interesse non è neppure limitato, semplicemente non c’è…magari no.
Il problema? La pioggia. Portarsi un ombrello? Troppo furbo per lui. Troppo impegnato per i ragazzi in giallo e rosso, in blu e verde, troppo impegnato ad allungare il passo. Il giorno dopo leggerà di una pacifica e colorata dimostrazione di un gruppo di studenti. Per cosa manifestavano? Gli sfuggirà dalla lettura. Alla prossima pensa di essere presente. Anche lui vestito di giallo e rosso, di blu e verde. Spera solo che piova quel giorno. Anche lui vuole fare il triste clown sotto la pioggia a manifestare. Anche lui come Hans, con le sue opinioni.

Opinioni che il frangente pomeridiano bagnato ed annebbiato fa abortire con sistematica coerenza e velocità.
Buon proposito? Arrivare in orario a lezione.

Il freddo imbarazza. La pioggia penetra. La musica non si ferma.
Gli amici Afghan hanno lasciato spazio all’amico Manuel. L’aula si avvicina. Facce conosciute cominciano ad incontrarsi. Facce sconosciute si incrociano nell’imbarazzo.

Finalmente dentro. E’ bagnato, ma tizi lo sono più di lui. E’ rincuorato.
Terza fila. Esterno.
Manuel tace su Bombay .
Inizia la lezione. Finge attenzione e si perde.

sabato 3 giugno 2006

X Jesus/Bauhaus

Here we are stuck by this river You and I underneath a sky That's ever falling down down down Ever falling down Through the day as if on an ocean Waiting here always failing to remember Why we came came came I wonder why we came You talk to me as if from a distance And I reply with impressions chosen From another time time time
From another time

venerdì 2 giugno 2006

Abbracciami

Io veramente non volevo.
Mai avrei chiesto tutto questo.
Mi sembra esagerato. Mi sembra inadeguato.

Quel sangue che mi hai regalato con la coscienza di 21 anni di inferno lo avrei vomitato.
E adesso torna a te.
Lo avrei rispedito al mittente. Sbiancato e asciugato ne avrei fatto polvere bagnata da buttare addosso al passato.
E adesso ricambio il danno.
Tuo sacrificio, donna povera e abietta, mi ha imprigionato. E neppure un corpo da linciare mi rimane per soddisfare l’ira. Regalo funesto, la vita, quella vita in questo scorcio di regione rossa. Nulla mi arrise da quella volta in cui…
Nulla si rivelò semplice e piacevole da quella volta in cui…
Per te è stato normale e necessario. Per me è stato maligno ed egoista.
Graffi e schiaffi. La vita pretende e non sono pronto ancora a gestirla tra le dita. Le vicende mi fanno oggetto di loro piacere e mi chiedo perché, donna sorda e reietta, il tuo dono di tanta speme, lacrime e bile mi hanno portato. Non posso rendere grazie, al tuo gesto insensato e liberatorio. Non posso guardare al tuo fare in maniera grata e compiaciuta.
Voglio gridarti il mio disprezzo, donna piccola e malata.
non avevi il diritto di alcuna speranza a venire su di me.
Il mondo mi dilania e ghettizza. E sono un debole e fallito.
­­_________

Mi fa male la testa. E ti penso piangente. Ma proprio non ce la faccio.
Adesso torno a te. In fondo era questo il mio destino. Non dovevi abbandonarmi qui, in questo scorcio di regione nera. Dovevamo stare insieme. Era quello che il tuo dio ti aveva dato in dono. Sei andata contro, e la mia non è stata esistenza, ma sopravvivenza.
Mi fa male la testa in maniera nuova e meno cupa.
Sento che scorre dentro e non mi va di vedere la muffa. Non mi piangerà nessuno, mamma.
Solo tu starai chiedendo a quell’angelo ghignante ti intervenire. Lascialo alla sua luce riflessa. E non gridare. E alla fine non ti odio. Lo sai.
Sono quasi sereno adesso.
La testa non mi fa più male. E voglio solo chiederti il perché.
Mamma non mi guardare così. Ora è meglio, veramente. Non sono soggetto di alcun realtà. E qui manca la chiave del sole.
Sento che scorre fuori e non mi va di vedere più niente. È un caldo frizzante mamma, ma non piangere cazzo, mi rendi la morte malata. Il tuo amore, mamma, adesso ti ritorna addosso. Sono quasi arrivato.
La testa non la sento più.

L'acqua si macchia e mi avvolge...

E cado in acqua. Che mi avvolge...

Mamma non piangere.

Sto venendo.


Abbracciami.