giovedì 27 luglio 2006

In ascolto


Vi lascio Play-list

1. Vanessa Mae – Toccata and Fugue in D minor
2. Afterhours – Quello che non c’è
3. Afterhours – By this river
4. Bjőrk feat. Tom Yorke – I’ve seen it all
5. Carmen Consoli – Fono all’ultimo
6. Fabrizio De Andrè – Amico Fragile
7. Gianna Nannini – Meravigliosamente Crudele
8. Gianna Nannini – L’abbandono
9. Giardini di Mirò – Othello
10. Giardini di Mirò – Città di Vetro
11. Gustavo Santaolalla – De Usuhaia a la quiaca
12. I Love you but I’ve chosen darkness – We choose faces
13. Julie’s Haircut – Private Hell
14. Lenny Kravitz- Ain’t no sunshine when she’s gone
15. Marlene Kuntz- La lira di Narciso
16. Mùm – Green Grass of tunnel
17. Muse – Escape
18. Paola Turci – Come eravamo
19. Paola Turci – Verso Casa (6 luglio)
20. Placebo – Special Needs
21. Radiohead – Karma Police
22. Sigur Ròs – Saeglopur
23. Sigur Ròs – Milanò
24. Slut – Slip
25. Smashing Pumpkins – Try, try, try
26. Sophia – Desert song n°2
27. Tori Amos – Playboy Mommy
28. Verdena – Centrifuga
29. Verdena – Onan
30. Verdena- Morbida

DROGATEVI

mercoledì 26 luglio 2006

Disse che avrebbe comprato lei i fiori...


(...) Si, pensa Clarissa, è ora di mettere fine a questa giornata. Diamo le nostre feste; abbandoniamo le nostre famiglie per vivere da soli in Canada; combattiamo per scrivere libri che non cambiano il mondo, nonostante il nostro talento e i nostri sforzi senza riserve, le nostre speranze più stravaganti. Viviamo le nostre vite, facciamo qualunque cosa e poi dormiamo – è così semplice e ordinario. Pochi saltano dalle finestre o annegano o prendono pillole; più persone muoiono per un incidente; e la maggior parte di noi, la grande maggioranza, muore divorata lentamente da qualche malattia o, se è molto fortunata, dal tempo stesso. C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o li, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti,tranne i bambini ( e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. E comunque amiamo la città,il mattino; più di ogni cosa speriamo di averne ancora.
Solo il cielo sa perché lo amiamo tanto.
Qui c’è ancora la festa: i fiori ancora freschi, tutto pronto per gli invitati, che alla fine sono solo quattro. Perdonaci Richard. In effetti, e dopo tutto, è una festa. Una festa per quelli che non sono ancora morti, per quelli relativamente in buone condizioni, per quelli che per ragioni misteriose hanno al fortuna di essere vivi.
È, in effetti, una grande fortuna.
Julia dice:”credi che dovrei preparare un piatto per la madre di Richard?”
“No”, dice Clarissa, “vado a prenderla”
Ritorna in salotto da Laura Brown. Laura sorride debolmente a Clarissa – chi sa cosa pensa o sente? Eccola, la donna della furia e del dolore, del pathos, del fascino abbagliante; la donna innamorata della morte; la vittima e la carnefice che ossessionava il lavoro di Richard. Qui in questa stanza c’è l’amata, la traditrice: una donna anziana, una bibliotecaria in pensione di Toronto, che porta vecchie scarpe da signora.
E c’è anche lei, Clarissa, non più la signora Dalloway: non c’è più nessuno a chiamarla così. E ha un’altra ora davanti a sé.
“Venga, signora Brown,” dice. “E’ tutto pronto.”
MICHAELCUNNINGHAM

domenica 23 luglio 2006

RoMa RosaRio

Grano 001 Nella pretesa di palle
Prenotazione posto n°88 carrozza n°5. la cosa mi sembra semplice e banale. Quanto meno precisa. Si sale. Si cerca. Non si trova. Nella carrozza n°88, a quanto pare, non esiste il posto a sedere n°55. scomuniche e maledizioni alla progenie di mr. Trenitalia e fanculo un po’ tutto. Viaggio schizofrenicamente turbolento. La mia persona appare infastidita dal tutto.

Grano 002 Drawing restraint 9
L’ultima opera filmica di Matthew Barney. Una pellicola senza dialogo, un mondo rarefatto in cui fotografia e musica disegnano immagini ispirate alla cultura giapponese. Due protagonisti e quattro tappe rituali: il trasporto, il lavaggio vestizione, il tè, la mutilazione. Il mutare di una forma in cerca di una definizione. Un enorme enigmatica scultura di vaselina su una bandiera giapponese. Un lavoro sulla destrutturazione e ricostruzione di un corpo.

Grano 003 Trovata
Gli occhi sono verdi. Finalmente la divina di Benetton fattura e fattezza l’ho incontrata. Ha gli occhio verdi e sembra non voler sorridere. Mi alieno a Trevi a alla fontana. Al turista stranito dalla posizione della mia nikon ricambio un sorriso che la divina di Benetton fattura e fattezza non sembra voler ricambiare.

Grano 004 Congratulazioni
Ricordati com’eravamo E poi ancora Com’era l’estate che ci aspettava Ricordami dei tuoi capelli Com’erano Neri come il nero dei nostri sogni non siamo qui noi siamo altrove e’ piu’ facile piu’ facile Ricordami di quel profumo Che tu amavi Di arance e di rose Di amore eterno Ricordami l’ingenuita’ Disarmante La dolce illusione Di una promessa non siamo qui noi siamo altrove e’ piu’ facile dimenticare e’ piu’ facile piu’ facile. (PaolaTurci)

Grano 005 Villa
Andiamo a vedere Raffaello? Andiamo a vedere Raffaello. Dov’è? A Villa Borghese. Non sono mai stato sai. Bhe allora dobbiamo andare per forza. Per forza. Ordino i biglietti. Uno ridotto per me. Uno intero per te. La storia della riduzione è motivo di derisione. Arriviamo e già adoro. Ma è enorme! Bhe si necessariamente enorme. La villa intendo. Chiaro. Entriamo. L’effetto è sempre lo stesso. Vuoto temporale e mi muovo tra la storia. Scorre il tutto con eleganza e maestria. Paolina bella come al liceo, pensavo sorridesse. Ricordo annebbiato. Sei bellissima Paolina e tu Canova ancora di più. Apollo Achille Sabine e Dafne. Dentro solo noi e loro. E rivivo il mito. Imperatori romani con sguardi sul cattivo andante, arte e approvazioni della storia all’ingegno umano. Ho i brividi. E mi butto sul Merisi. Raffaello si, indubbiamente, Leda e il suo cigno, la Giardiniera e l’odio di Mela. Mangio senza denti. Usciamo. Sono esaltato e mi scatti foto. Imito statue monche e sono sereno.

Grano 006 Tram
Torno da scontro mentale con tizia assurda. Salgo su tram direzione termini. Sono stanco. Il mio Porta Portese in mano, la mia noia in testa. C’è posto e mi siedo. Attacco I pod e parto di Gianna. Mi parla di treni presi alla stazione nord e quasi mi viene da piangere. Sale un donnino. Penso abbia sbagliato secolo e mezzo. Una carrozza si presterebbe meglio alla sua eleganza, alla sua presenza. Trova posto e si siede in fronte a me. È una donna anziana. I capelli, bianchi, sono raccolti da un fermaglio, potrebbe essere madreperla, sempre per il discorso dell’eleganza, ma non lo saprò mai. Ha un vestito sgargiante. Rosa pesca, le gambe non sono come quelle di una persona grande. Sono curate e nessuna vena traspare. Le mie nonne la prenderebbero ad odio. Non sembra abbia visto mai un campo. Anche i piedi sono curati e smaltati. Ha una serie di gioielli in corpo che potrebbero essere anche un pericolo, e il caldo cerca di abbatterlo con un ventaglio di preziosi. Chiudo la mia musica nelle orecchie e attaccano due musicisti di strada saliti alla fermata di prima. Chitarra e fisarmonica. A vederli sembrano mediorientali. A sentirli sembrano brasiliani. Sono tristi e suonano tristi. Fa molto caldo. Suonano quelle musiche da camera, pronte ad aprire circostanze estranee. La donna vestita di pesca sorride come una cartolina del ’42. ho l’immagine in testa e nessuna me la toglierà. Lei è l’unica che segue entusiasta i due e i due suonano solo per lei. Il viso le si riga di lacrime. È una scena da vivere. Mai sentita tanta tristezza da due musici di strada. Mai vista tanta malinconia negli occhi di una donna. Mi tocca lo stomaco tutto questo e mi manca l’aria. Il ventaglio si muove in un mano, nell’altra le dita si cercano per graffiarsi. Rimetto cuffie. Non accendo la mia musica. Quella che mi ha abbracciato per 5 fermate di tram cessa. Le signora prende un fazzoletto si asciuga gli occhi. Prende borsetta e regala banconote ai due. Loro ringraziano. Lei ringrazia. Loro scendono. Lei dopo un po’.
Eppure questa scena io l’ho già vissuta.

Grano 007 Sgamato spillo I
La fila inizia da Castel Sant’Angelo. Mi sembra inopportuno il tutto. Dai, una volta che siamo qui si fa un attimoin di fila e si cerca di metter piede dentro. No eh? Si ma ci saranno quei 43/44 gradi che conciliano lo stato comatoso avanzato nonché lo stato di premorte. Aspetta chiedo alla signora. È una suora, chiamala sorella, chiamala sorella…sorella, mi saprebbe dire il momento di minor flusso verso l’ingresso della basilica? Guardi la mattina molto presto la situazione è ragionevole, oppure verso le 2 del pomeriggio ( e certo aspettiamo i 52 gradi sotto il colonnato). Mi viene comunicata la sentenza orsolina. Ce ne andiamo. E tu sorella bianca ci guardi con disapprovazione, sorridi di gusto muovi il dito, sventoli rosari, sembri simpatica ed io divento porpora. Avrei preferito uno spillo da chiudere in mano.

Grano 008 Rosa della Vittoria
“Non è certo un caso che la musica dei Sigur Ròs abbia origine in Islanda. Terra di forti contrasti visivi, di luci nordiche e spettrali, di notti che paiono non avere fine, l’Islanda è da sempre un luogo magico, una dimensione altra, parallela che evoca una mescolanza di mistero e di sottile inquietudine, un po’ perché sperduta in una parte di oceano freddo e lontano, un po’ per il sujo clima poco ospitale, un po’ per i suoi paesaggi dalle reminiscenze lunari, aliene”
Sto cercando questo libro da quando un anima malata di cui ero totalmente innamorato, me ne parlò. L’ho cercato per oltre un anno. Mi serviva per la mia tesi. E non l’ho mai trovato. Pensavo fosse fuori catalogo.
“Terra di bardi viaggianti e di saghe epiche tramandate a memoria di padre in figlio, l’Islanda sembra avere la musica nel proprio dna, come del resto accade per tutte le culture insulari, definite rispetto al mondo che conta”
Dalla prima volta che ne sentito parlare volevo che occupasse un posto di prestigio nella mia libreria musicale. Adesso svetta trionfante tra le vicende di Carmen e quelle di Manuel.
Sigur Ròs sta per Rosa della Vittoria.
E non lo sapevo.

Grano 009 Sgamato spillo II
Voglio buttarmi sull’arte. Che tipo di arte? Vorrei investire sull’arte. È una cosa diversa. Vorrei comprare un quadro. Che tipo? Mi piace Donzelli. A me no. È allegro mette armonia. A me pare solo uno che cerca di far soldi prendendo per il culo la chiunque. Mi accompagni o no? Certo.
Guardi avvocato per lei che è nuovo le faccio un prezzo affare 1600 € (porca troja). L’olio scelto è proprio bello. Non ho troppo da criticare. Alla fine l’asta a scendere si ferma sui 1000. Io nel mentre gioco con una cagnolina che vorrei portarmi dietro. Mi si accuccia sulla ginocchia mentre voi sbrigate affari economici. Avvocato mi dia l’indirizzo così le mando gli inviti per eventuali mostre future e naturalmente porti con se anche il bel dottore. Continuo a massaggiare collottole e giunture. Immagino spilli entrarmi in mano.

Grano 010 In attesa
Non pensare che mi sia dimenticato. Sono in attesa. Ti ho invocato e cercato. Il tempo è sempre meno. La mia stima ai minimi storici.

sabato 22 luglio 2006

IOME

E mi ritrovo in una parola, in un gesto, in un sorriso, in una lacrima. Guardami, guarda i miei occhi, puoi leggere dentro il disgusto? Puoi leggere l’insoddisfazione? Puoi leggere il dolore? Puoi leggere la volontà di chiuderli?
Dimmi che puoi farlo anche se non puoi, dimmi che vuoi farlo anche se non vuoi.
Dov’è la realtà?cos’è reale? Cos’è giusto?e perché ciò che rimane è ingiusto?
Cosa ha senso? Trovami il senso, trovami le risposte che mancano, mangia il mio disagio e rendimi libera.
Non ve lo dirò mai, non potrò dirvelo mai e per questo sarò sempre sporca, ingiusta, inopportuna. Ciò che odio: la sporcizia, l’ingiustizia, l’essere inopportuni.
Ciò che rifuggo da sempre è parte di me tramite voi, tramite te, tramite me.
Giocano loro, rincorrono la palla, gli altri guardano e ridono, qualcuno da qualche parte starà piangendo. Lo immagino con la sua sigaretta in una mano e la pistola nell’altra, lo immagino ferito, lo immagino dolorante, lo immagino senza più pensieri, libero, libero dalla schiavitù creata da noi stessi.
Chi siamo?dove andiamo?perchè siamo?
Perché cazzo non rispondete?
Dove siete?
Che volete fare di noi?
Quanto ancora il mio cuore dovrà penare per la ricerca di risposte a domande inquiete, credi davvero ci siano risposte?
Perché tutto quello per cui combatto ha sempre un colore sbiadito, perché per una volta le cose non possono andare come minchia vorrei che andassero, perché tutti mi amano solo nel modo in cui loro vogliono amarmi e mai nel modo in cui vorrei mi amassero?
Dove finisce l’oceano?
Perché mi chiedono di parlare se poi le mie parole spaventano?
Perché le mie parole hanno senso solo per me?
Perchè nessuno mi chiede mai se ho paura di me stessa?
Ci riempiamo la bocca di stronzate, ci riempiamo la bocca di stronzate, goccia su goccia, lacrima su lacrima; ci ritiriamo prima che diventino vita, prima che possano diventare ossigeno, prima che si possano trasformare in essenza.
Lasciatemi da sola, chissà che i miei pensieri si stanchino e mi lascino andare a dormire, lasciatemi ai miei 360 gradi e tenetevi i vostri 180.
Nascondetevi, nasconditi, tanto mi nascondo anch’io.
Perché nessuno mi chiede se ho paura di me stessa?
Credi davvero che sia facile convivere con cotanta agitazione, fermento, ansia, angoscia, malinconia?
Lo credi davvero?
Ti sbagli cazzo. Ti sbagli.
Non c’è nulla di piacevole nel tremare, non c’è nulla di piacevole nella morsa allo stomaco solo perché stai camminando, solo perché ieri hai visto qualcosa che ti ricorda oggi e che ti ricorderà domani.
No, non c’è nulla di piacevole nel sottile conforto di sentirsi meno stupidi, meno idioti, meno ignoranti. No, mi spiace disattendere i vostri pensieri ma non c’è un cazzo di piacevole.
Ridatemi la mia vita, toglietemi tutto questo e riempitemi di merda, guarderò qualcun altro rovinarsi la sua con inutili congetture planetarie.
Ridatemi la mia vita, ridatemi la vita di chi la mattina trova un senso ad alzarsi, ridatemi la vita di chi sa che domani ci sarà qualcosa per cui vale la pena vivere, ridatemi una vita del cazzo, una vita di merda, la vita più stupida che possiate darmi. Lasciatemi in pace, liberate il mio cervello, spogliatemi di questa malinconia, spogliatemi di questo male di vivere cazzo.
Ridatemi la mia vita e non chiedetemi nulla in cambio.
Ho già pagato.
IOME

lunedì 17 luglio 2006

AGG


Sei stato tu a scegliere Solo bugie per vincere Anche stanotte vuoi distruggermi Come fai sempre Non voglio piu’ combattere Il cuore e ‘ un arma da fottere Le tue parole sono lividi Sulla mia pelle Grazie del sole che e’ stato Tenerti vicino Dentro di me Grazie di questo amore Senza paura piu’ forte di noi E prendimi Abbracciami Che te ne fai ora di me In questo fuoco andato in lacrime Non sento niente Grazie del sole che e’ stato Tenerti vicino Dentro di me Grazie di questo amore Senza paura piu’ forte di noi Dolce com’e’dolce il pensiero che resta Ora dopo ora io ti perdo ora per sempre Grazie Di ogni tuo sguardo dentro di me Dolce così dolce il pensiero che resta Ora dopo ora io ti cerco vattene adesso Lasciami il tuo silenzio Spegni la voce Le luci accese.
GRAZIE

venerdì 14 luglio 2006

...come noi li rimettiamo ai nostri debitori...


E adesso cosa pensi di fare? Beh qualcosa dovrai pure inventarti. Se è vero quello che sempre mi è stato detto. Quello che voci illuminate mi hanno vomitato per oltre 20 anni di vita, beh qualcosa ti devi per forza inventare. Altrimenti sono cazzi. Come si suol dire: grossi cazzi. È l’occasione è questa. Non puoi lasciare che vada a finire in questo modo. Non è conciliabile con quegli indorati sospiri che continuano ad alitarti addosso. Tutto puoi. E tutto vuoi. Allora cazzo adesso fatti vedere, fatti sentire, perché se così non sarà allora dovrai subire e ricevere quanto odio sia capace di generare una realtà così imposta. È una minaccia. Si è vero. Fanculo il mondo. Fanculo tutto. Sto aspettando che si faccia vivo qualcuno mandato da te. Chi minkia vuoi. Adesso ti aspetti preghiere. Quelle voci illuminate continueranno ad invocare il tuo beneplacito sorriso. Io non voglio né sorrisi né concili, voglio lei, sana. Devi farlo, perché tra le voci illuminate c’è sempre stata la sua, più o meno stonata all’interno di un coro che sempre ti ha trastullato sonante. La sua voce è sempre stata pronta per te. E adesso cosa pensi di fare? Beh inventati qualcosa. La mia è si una minaccia. Aspetto un gesto, un messaggio o messaggero capace di riportare quanto è stato tolto per non si capisce quale regola “divina”. Cazzo divina. Dettata. Da. QUALCUNO. Io sto aspettando. Ma ho fretta. Ho molto fretta. Devi intervenire. Altrimenti non pensare ad altri incensi vocali. Non pensare che io sia capace di non interrompere questa farsa attraverso le mie peggiori ingiurie. Non sarei capace di sentirti mai più pronunciare. Lo reputerei malevolo e sconveniente. Lo riterrei fottutamente volgare come queste mie parole. Lei è la vita. Non puoi agire in questo modo.
Se quelle voci illuminate mi hanno vomitato merda in oltre venti anni, non lo so. Adesso muovi il culo. Intervieni. Magari non ascoltare questo pazzo che ti invoca tra le lacrime. Ma ti prego lasciala a noi. Aiutala. Aiutaci. Aiutala. Aiutala.
Cazzo ti prego.
Fai.
Dio.

giovedì 13 luglio 2006

E se non torno + ?

Finalmente. La certezza. Taske vuote. Me ne parto!

mercoledì 12 luglio 2006

Hands in my pocket

Munch. Vergine. Leone. Telefono. Verdena. Suskind. Sedia. Chitarra. Cotone. Letto. Ferro 3. Cuore. Jun*. Ale. Ali. Porta. Klimt. Mela. Marlene. Sasso. Occhi. Mani. Ipod. Pc. Bambù. Pensatore. Yoshimoto. After. Fede. Mondo. Michelangelo. Afghanistan. Baricco. Incenso. Infradito. Maglie. Mondo. Parigi. Donnie. Darko. Gabri. Jun*. Tesi. Carmen. Eva. Bianco. Jeans. Pace. Verde. Occhiali. Lampade. Bracciali. Piercing. Gazzelle. Adidas. Terzani. Cartier Bresson. Luminal. Isabella. Monete. Segnalibro. Tazza. Emergency. Xanax. Pass. Colonia. Jun*. Enik. Marocco. Egitto. Quint Buchholz. Mare. Oceano. Oceanomare. Rabbia. Philip Borges. Olmo. Shorts. Amplesso. Brasile. Deserto. Sigur. Rosso. Control. Ghiaccio. Haruki. Dante. Albe. Tè. Dreamers. Lettore. Scatole. Adriano. Samaritana. Sophia. Roma. Polonia. Bauhaus. Smashing. Aria. Acqua. Specchio. Una casa. Sul mare. D’inverno. Jun*. Ewelin. Gauguin. Irlanda. Lorena. Bianco. Nero. Berlino. Stazione. Zoo. Ragazzi. Berlino. Desideri. Cellulare. Costume. Busta. Scontrino. Lupin. Nikon. Turchia. Vienna. Siderno. Lokri. Cefalù. Cappello. Ovidio. Moleskine. Shangai. Liceo. Sha Sha. Palalottomatica. Corano. Antropologia. Carotenuto. Alberto. Manuel. Cristiano. Londra. Cezanne. Righe. Tondelli. Eastpack. Neruda. Fabrizio. Rossella. Matite. Inchiostro. Cenere. Profumo. Faro. Montale. E i suoi doganieri. Una casa. Sul mare. D’inverno.

martedì 11 luglio 2006

X ki nn vuole ali


Verso casa la pioggia minaccia la calma di questa pianura ma io non sento niente se non la tua assenza chiassosa assenza Verso casa mi lascio abbracciare dal canto di questo dolore perché la vita non si è intonata con la tua voce limpida e ingenua, limpida e ingenua, limpida e ingenua.. Quante volte tornerai in un pianto inatteso nel ricordo più intenso luce che muore al tramonto in un giorno qualunque di luglio Verso casa il sole risveglia i colori di questa pianura nulla è cosi evidente come la tua assenza chiassosa assenza Perché la vita non si è intonata con la tua voce limpida e ingenua, limpida e ingenua, limpida e ingenua.. Quante volte tornerai in un pianto inatteso nel ricordo più intenso luce che muore al tramonto Quante volte tornerai in un pianto inatteso nel ricordo più intenso luce che muore al tramonto in un giorno qualunque di luglio.

PAOLATURCI

venerdì 7 luglio 2006

Festa


Che minkia d’ora è?dio sono le 4 e mezzo. Ho un mal di pancia da parto. Giornata alquanto lunga quella di oggi. Iniziamo bene. E adesso che si fa? Se mi alzo ed esco dalla camera i miei si inquietano di brutto e mi kiedono con cortesia preoccupata di tornarmene a letto. Bene. Pensare dunque. Musica. Chiaro. Mi sparo fortissimo nel cranio un Onan di serate amare. Le cuffie sono quelle nuove. Provo ad alzare le tapparelle della mia porta finestra. Fuori ancora nn c’è luce. Sento neanche troppo lontane le macchine rincorrersi l’un con l’altra. O forse no. O forse si. Seguono un orario. Rincorrono l’alba. Penso a chi si trovi già, o ancora in macchina a quest’ora del mattino, o della notte. Non decido se buttarmi nella consapevolezza della giornata nuova o se ancora trascinarmi ed aggrapparmi alle ore del giorno passato. Vado di Verdena fino le 6. non ce la faccio più. Necessito di colazione. “non ce la fai a dormire?” no. “come stai?” come vuoi che stia? Sto male, sn agitato, ho paura di fare la minchiata proprio alla fine, temo il giudizio. Odio il giudizio. Sto agitato mà. “è normale!” si penso di si. “Andrà benissimo”. Speriamo. Sono disfatto. Che buono quel profumo di caffè appena fatto. Aroma di sentimento casalingo. Caldo. Riconosciuto. Mangiamo assieme. La mia tazza è verde, c’è il disegno dell’africa, con tre bambini stilizzati, sono colorati e si tengono per mano. Nella tua mà c’è il colore dell’Asia e i bambini non si tengono per mano, giocano separati. A volte uso la tua tazza mà, lo sai? Se ci penso non ricordo mai una volta, mai una mattina senza il caffè, o caldissimo nella sua macchinetta, o tiepido nel suo barattolo di vetro. E mi trovo con sguardo a palla su 2 tazze di mondo altro. Me ne torno in camera dopo passaggio di sbarbo e doccia sul fresco. Adesso la stanza è illuminata da aria di mattino. Attacco i Sigur e chiedo loro una parvenza di calma incondizionata. Chiudo gli occhi e già mi vedo su di un molo invernale. La mia stagione. La mia sensazione preferita. Mare, crepuscolo. Gelo. La compagnia unica. Quella ricercata. “che ascolti?” sono i Sigur, mi danno calma. “sicuro che non ti agitano ancora di più?” ecco qua, sminkio profondo. La mia musica appartiene ad una razza rara e bastarda. Povera. Milàno parte da Takk e premo tasto rip. Andrà per i prossimi 40 minuti. Le possibili bestemmie del vicino mi vestono di insipienza. Alzo il volume e sorrido. Il primo sorriso del 6 luglio 2006. inizia fase vestizione. Mi incamicio et incravatto. Mi inpinguino a dovere e sono pronto per la mattanza di neuroni. Fase uno: arrivare al cubo predestinato, sedermi, far finta di essere altrove. Fase due: aspettare conforto. Mi trovo dentro. Penso e ripenso a nomi che sanno di esotico e carta gialla. Penso e ripenso a nomi che sanno di umido e sentimenti bruciati. Nella testa si muove un filo di illogiche sensazioni; quelle che pervadono l’animo nei momenti di sclero, per cui tu ti trovi ad aver a che fare con tutto quanto quello che non c’è, con tutto quanto quello che vorresti ci fosse, e naturalmente, ovviamente, non c’è. Si inizia. Passano con insipienza un certo numero di rachitiche ed oscene. Madonne di mari e linguaggi di provincia. Cimiteri montani e il peso di Dante. Altro non sento. Arrivi tu Jun*. E altro non c’è. Mi si accelera il mondo, e sono contento. Sei la mia sottile linea bianca. Ecstasy catartica. Ciao. Ciao. Perché mi hai chiamato? Perché sei una testa di cazzo, magari nn ti ricordavi. Sei stupido Andre. La vuoi adesso?che cosa? Nn fare la stupida. L’hai fatta verde? Bhe…a me piace, se vuoi te la faccio fare di un altro colore. Sei stupido Andre (si sono un cretino) Ma ti devi sposare? Hai visto che figo?di la verità. Sono proprio bello oggi. Sei stupido Andre (si sono un coglione). Emozionato? Si un po’(mento ferocemente, potrei scappare). Avanti c’è posto. Voglio stare qua. Bene. (cazzo le lacrime no, ti prego dio, nn fare scendere quelle lacrime) fai il bravo. E mi dai uno skiaffo. Si continua. Ripassano con ancorata insipienza altre tizie che meriterebbero l’ergastolo per oscenità pubblica. E si passa da Menandro a psicologie generali. Paesi marini e il sempreterno rompikazzo di Dante. Venga il candidato Andre. Ecco potrei svenire. Sai che spettacolo grottesco. Presentazione che sa di altra storia. Viso amico. Albe. Dio grazie Albe. Ed inizio di mia storia e sentimento. Mi si chiede di me in qst storia. Sa di me. E nessuno sa di più. E vorrei vedere le facce, entrare nelle teste di chi sta dietro. Mà, Pà, chissà che state pensando. Chissà se siete orgogliosi. Chissà se mi volete più bene dopo tutto questo. Ed ecco quel rapporto malato che si crea tra il poeta ed il malato d’amore, le vicissitudini relative ad una relazione amorosa vissuta come patologia di intenti che lascia interdetti ed incapaci di prosieguo. “Vedere il Ferrari inserito in un contesto sociale di provincia bruciata dalla vita e la fuga di salvezza nell’origine ciclica di realtà alternative. Il parallelo inoltre tra le visioni poetiche artistiche del Ferrari con quelle di Agnelli e di Godano, cavalieri esemplari della poesia alternativa che affrontano le realtà umide ed annebbiate di amori passati e dolenti. Inoltre i contesti, realtà di sfondo, e fondo, all’interno dei quali prende a muoversi questo grido di esternazione. Ambienti nuovi, fuori dalla logica d’insieme del sociale sotto vetro, che rispecchiano in maniera anomala e trasgressiva un’esigenza interna di inadeguatezza al mondo. La crisi di presentificazione dell’io che si manifesta nella fuga in Paesi delle Meraviglie, sola possibilità che si ha, in coscienza, per riuscire a divincolarsi dalla Fine dei mondi”. Non mi rendo conto di un emerito cazzo. Parlo e parlo. Mi si ferma e mi si domanda. Rispondo e continuo. Mi si richiede altro e rispondo a quest’altro. Per noi tutti può bastare. Applauso. Ho finito. Mà, Pà. Esco. E la gente mi sta subito addosso. La gente mi vuole bene. Strano non trovi? E non voglio altro che stringerti. Ti vedo che stai piangendo.mi viene da piangere. E la gente mi ferma e si congratula. Ti sposti verso la porta. Sembra che gli altri non ti vedano. Cazzo fatemi passare. Ti fai sempre più piccola e continui a piangere. Dio. Dopo, arrivo dopo, adesso devo andare da Jun*, dalla mia Jun*. Auguri e strette di mano. Grazie e grazie. E fanculo fatemi passare. Jun*. Non penso di aver ricevuto abbraccio tanto intimo e prezioso. Ci siamo trovati dentro. Tu in me. Io in te. E solo tu. E solo noi. Grazie. Perché sei e sempre sarai. Ho sentito i tuoi singhiozzi. Ti ho fatto sentire i miei e non lo farò mai più. E te ne vai. E mi lasci ad amici e parenti. Grazie per essere venuta. Grazie per essere. E mi ritrovo immerso in una situazione staccata. Vedo toghe. E sono nere. Vedo fiori. E sono girasoli. La gente mi sorride. Ed io sembro un piccolo campione. Mi si proclama dottore. Il voto fa invidia. Massima degenerazione dell’autoesaltazione dell’io. Sorrido di gusto questa volta. E vedo Fede. E vedo Mela. E vedo gli altri. Mà, Pà. La sera è altra storia. Quella del 6 è vissuta così.