lunedì 30 ottobre 2006

Il poeta è un fingitore

Finge così completamente

che arriva a fingere che è dolore

il dolore che davvero sente.

Fernando Pessoa, Una sola moltitudine

domenica 29 ottobre 2006

Cuba tres jolie...


Ieri ho provato, in un chiaro stato mentale alterato, un sigaro.
In realtà non l'ho solo provato, me lo sono fumato tutto. Vabbè, ci sta. La mia lista delle 12450 cose che non ho mai avuto modo di fare ancora è stata spuntata di una tacca.
Il popolo tutto gioisce festante.
Per dovere di cronaca devo sottolineare la provenienza caraibica dello stesso. Un Fonseca servitomi come se si fosse trattato di un oggetto particolarmente prezioso ed invidiato. La cosa gradassa però è stato il rum Havana invecchiato di 14 anni portato come accompagnamento.
Devo dire mi sentivo molto Hemingway.L'atmosfera faceva troppo Cuba anni '30.
Detto questo, 2 piccoli accorgimenti utili per chi si appresta all'avventura:

1. Considerate che fumare un sigaro di dimensioni impensate lascerà nella vostra bocca un sapore di scarponi di alpino putrefatto per almeno le successive 24 ore (ed io da piccolo idiotes non lo sapevo...);
2. Sigaro Fonseca e rum Havana vi costano come due Boxer D&G della linea sport (ed anche questo...ahimè non lo sapevo...altrimenti...).


A proposito...fumare fa male. La mia era perversione.

giovedì 26 ottobre 2006

Orfeo

Se qualcuno lo ha visto passare...se qualcuno lo ha notato avvicinarsi con aria un pò così, se qualcuno ha ascoltato la sua voce chiamarmi...bhe, ecco...si faccia avanti.
...Penso passi da qui prima o poi...lo aveva promesso ed io sono qui in attesa. E si che è malato, e si che è ubriaco. Ma voglio andare con lui...alla luce del giorno.
Se qualcuno lo dovesse vedere...gli dica che io CREDO.
In lui.
Nelle sue mani.
Penso sia questo il momento. Lo sento addosso. "E' un caldo richiamo perchè ho bisogno di svegliarmi". Voglio ritornare alla vita.
RITORNO ALLA VITA.
Se qualcuno lo vede...gli dica che sono qui.

Ve ne prego...

giovedì 19 ottobre 2006

Incontri ravvicinati del IV tipo...


POCO FA UNO SCOIATTOLO, SULLA MIA TERRAZZA, MI GUARDAVA CON ARIA DI SFIDA!
SONO MOLTO STANCO!
MA COME CAZZO FA UNO SCOIATTOLO AD ARRIVARE AL NONO PIANO??
RIBADISCO:
SONO MOLTO STANCO!

lunedì 9 ottobre 2006

Please


LET ME.
KILL MYSELF.
LET ME.
KISS YOUR LIPS.
LET ME.
SUCK YOUR BLOOD.
PLEASE. LET ME. ADORE YOU.

domenica 8 ottobre 2006

Sempre di fronte...

Conoscere l’altro, banco di prova dello sguardo antropologico.
Ma se l’altro fosse radicalmente tale, senza alcuna somiglianza, analogia, coincidenza con il soggetto portatore dello sguardo, convenzionale detentore dell’identità, resterebbe definitivamente irraggiungibile nella sua alterità, monolite in conoscibile, impossibile interlocutore di un impossibile dialogo.
In effetti l’identico tende a ritrovare nell’altro, al di là delle puntuali differenze, i tratti che rinviano alla comune umanità e che consentono ad ambedue una reciproca conoscenza. Possiamo conoscere l’altro, in quanto egli è come noi; è una diversa, eppure analoga se non identica, formulazione di noi stessi.
L’antropologia rappresenta, in questa prospettiva, il nostro sforzo di ritrovarci nell’altro, di rifletterci in esso. Se ci rispecchiamo nell’altro per conoscerlo e conoscersi, l’antropologia si costituisce di fatto come ininterrotta, anche quando inconsapevole, autobiografia, frutto del nostro sforzo inesausto di comprenderci attraverso l’altro, di comprendere l’irripetibile paradigma di umanità che rappresentiamo per noi stessi, soggetto e oggetto di discorso, inizio e approdo di itinerari di conoscenza, che non potrebbero essere se uno dei due termini venisse a cadere. L’antropologia è a mio avviso, sempre e comunque autobiografia, ma questo non va inteso come celebrazione di un’impossibile autarchia, se non, addirittura, autismo.
Lo sguardo antropologico parte dal soggetto e a questi ritorna. Ma dopo un viaggio necessario in cui ha incontrato l’altro e si è impegnato profondamente a conoscerlo.
La conoscenza di sé, frutto della tensione antropologica, non è la stessa di quella che si avrebbe comunque, senza l’intenso lavorio di cui qui si discorre; è conoscenza arricchita di questo itinerario extra moenia, è conoscenza frutto del colloquio instaurato con l’alterità; è, integralmente e compiutamente, sapere, se sapere è “superare la resistenza dell’alterità”.
Ho detto dello sforzo di rifletterci nell’altro, del nostro specchiarci in lui.
Si delinea così il tema dell’antropologia come specchio. Ma l’antropologia consiste essenzialmente, come si è appena detto, in un’interrotta, anche se quasi sempre inconsapevole, autobiografia. Lo specchio allora rinvia ad un altro specchio, si riflette in esso e questo a sua volta rinvia le sue immagini al primo, che le restituisce in una sequela automolteplicantesi, perché non di uno specchio soltanto si tratta, ma di una pluralità di specchi e, quindi, di un’estesissima molteplicità di immagini.
L’antropologia, così, non è più soltanto lo “specchio dell’uomo”, ma una stanza degli specchi, che trasmette al singolo uomo una miriade di immagini, in un groviglio di sguardi incrociatesi, attraverso i quali gli uomini dicono il loro bisogno di non essere soli, la loro esigenza di un senso, purchessia, del loro esistere.
Victor Turner sottolineando che “riti, drammi e altri generi performativi sono spesso orchestrazioni di media, non espressioni di un unico medium”, polemizzano con alcuni strutturalisti che hanno sostenuto che “si emette lo stesso messaggio con codice media diversi per meglio sottolinearlo mediante la ridondanza. Lo stesso messaggio in media diversi è in realtà una serie di messaggi che variano leggermente l’uno dall’altro, poiché ogni medium aggiunge il proprio messaggio generico al messaggio che veicola”. Per Turner “il risultato è qualcosa di simile a una stanza degli specchi - specchi magici, ognuno dei quali riflette le immagini che gli giungono rimbalzando da uno specchio ad un altro.
Nel mio discorso, l’espressione stanza degli specchi, assume un significato più ampio, volendo comprendere con essa l’intero ambito antropologico, il suo interrogare interrogandosi, il suo inesausto tentativo di decodificare la molteplicità dei linguaggi, spesso criptici, che accompagna l’umana fatica di essere nel mondo senza restare schiacciati da una irrimediabile datiti.
Stanza degli specchi come luogo ideale nel quale, attraverso l’infinita rifrazione di parole e immagini si rendono possibili juxta propria principia – perché soltanto juxta propria principia sono possibili – le nostre strategie conoscitive, che realizzano un nostro costitutivo desiderio di conoscerci conoscendo. Rifrazione di parole e immagini attraverso la quale si dispiegano e si riflettono gli umani linguaggi e multiformi codici per intenderli.
Ma anche gli specchi non sono innocenti; ce lo ricordano fra gli altri Schnitzler. Il protagonista della sua Fuga nelle tenebre si reca nella stanza da bagno, che, lo si vedeva bene, solo per esigenze di tempi nuovi riconosciute a malincuore, da una qualche soffitta inutilizzata era stata adattata all’uso attuale. Una lampada giallastra nel soffitto diffondeva scarsa luce nello spazio senza finestre, e attraverso lo specchio bislungo, che pendeva ad una parete in una liscia, vecchia cornice dorata, andava dall’alto al basso un’incrinatura.
L’incrinatura segna, deformandolo, il nostro volto rispecchiatosi e il nostro tempo è insidiato dalla percezione che noi stessi, come ha visto un poeta cieco “siamo il nostro ricordo/ un museo immaginario di mutevoli forme/ specchi rotti in un mucchio”.
Luigi Maria Lombardi Satriani
La stanza degli specchi

venerdì 6 ottobre 2006

Week playlist...life playlist

One of these mornings. Esco, scappo, dalla metro. Provo ad andar dritto ma qualcosa ancora mi tiene legato, un senso, che non c’è, tutto il resto che mi attanaglia. But until that morning. Nuotando nell’aria. Si. Così. Voglio scappare così. Veder fino a quando,il senso, che non c’è, ancora sublima il resto, tutto il resto, che mi sblocca bile… e nera, e gialla. Lullaby. Honey, n-n-nothing's going to harm ya, No, no, no no, no no, no...Don't you cry — cry. E non riesco proprio. Un grammo di gioia nel tuo sorriso. Se tu sapessi LA pena. Non respiro. E non è nebbia ma fumo, denso, e si taglia e si soffoca. Cammino lungo una via che sembra già la stessa e vado alla ricerca del solito brivido di sempre, quel volo libero che io giuro, è stato e ancora risuona il senso, quel senso. Una lacrima. Solo una lacrima. Vederti piangere. Maledizione. E scende, la lacrima, nel mio camminare lungo una via che già odio di immenso. Madonna Janis accompagnami tu. Madonna Nico salvami tu. E mi sorreggono le braccia e sembro volare sopra il resto, tutto il resto. Cause everybody knows She's a femme (he’s a male) fatale The things she (he) does to please She's a femme (he’s a male) fatale She's (he’s) just a little tease (tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease tease) See the way she (he) walks Hear the way she (he) talks… E non si può. Ma è reale l’impotenza. Provo per poco ad immaginare le sue, le tue, le nostre parole. Non riesco proprio. Un limite, stavolta il mio. Mi sento semplicemente SOLO. Che è strano, si. Perché ancora non mi sono abituato. E dire che il mondo mi viene a coprire dal male che c’è, in me. E invece sanguino di luna e mare. Il mare. Bestemmio il suo nome in notti di pioggia. Solo perché non è alla mia portata. Alla mia mano. I want to walk Into the light Day has turned cold Hold back the night What will become Of you and I We had a dream Don't let it die Just hold back the night. Do you wanna be, wanna be My dying day My darkest hour My overdose. Can I be your OVERDOSE? Please. Continuo a muovermi sorretto in qualche modo da mani amiche. Mi giro, mi sposto, mi rendo partecipe alla vita che tutto intorno mi scorre serena e volgarmente pacifica. A place for u in my heart suona un po’ come un offesa ma è Madonna Tracy che vomita il suo male nella mia testa che gestisce sempre meglio il dolore ed il malessere altrui. E non si abitua al proprio. Gente miserabile. Gente inetta e bianca. Remembering Your touch Your kiss Your warm embrace I’ll find my way back to you If you’ll be waiting If you dream of me like I dream of you In a place that’s warm and dark In a place where I can feel the beating of your heart. Ed un sorriso colora il volto di sembianza nuova. Una maledizione sbattuta in mezzo agli occhi quasi mi rende sereno e consapevole delle capacità interminabili,infinite, instancabili del mio voler restare e non tremare. E si, sono fortemente daltonico. La bellezza è quella. Dono io, colore mio, all’essere, si, così improprio. Taffy stuck, tongue tied Stuttered shook and uptight Pull me out from inside I am ready I am ready I am ready I am...fine I am covered in skin No one gets to come in Pull me out from inside I am folded, and unfolded, and unfolding I am colorblind. E non sono più 15 giorni e 7 ore, da quando ho perso quel fottuto senso. He said boy u better try to have fun No matter what you'll do But he's a fool `Cause nothing compares Nothing compares 2 u. Fanculo. Ovvio. Nothing compare 2 u. Just Nothing. Ovvio. Fanculo.E continuo a camminare. E mi passa tutto. Come sempre. Come al solito.
Dolce è il dolore che porti negli occhi, quanto il perdersi dentro di te. Ed il lieve infuriare di rabbia che porti aggrappata alla fragilità. Dormi che è meglio pensarci domani alla muta distanza che scorre tra noi quando non sei vicino a scaldare i miei sogni, quando i sogni nemmeno son qui.
Just nothing compares 2 u. E’ come sempre…veramente…come sempre…e fanculo tutto.