mercoledì 26 luglio 2006

Disse che avrebbe comprato lei i fiori...


(...) Si, pensa Clarissa, è ora di mettere fine a questa giornata. Diamo le nostre feste; abbandoniamo le nostre famiglie per vivere da soli in Canada; combattiamo per scrivere libri che non cambiano il mondo, nonostante il nostro talento e i nostri sforzi senza riserve, le nostre speranze più stravaganti. Viviamo le nostre vite, facciamo qualunque cosa e poi dormiamo – è così semplice e ordinario. Pochi saltano dalle finestre o annegano o prendono pillole; più persone muoiono per un incidente; e la maggior parte di noi, la grande maggioranza, muore divorata lentamente da qualche malattia o, se è molto fortunata, dal tempo stesso. C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o li, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità e aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti,tranne i bambini ( e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. E comunque amiamo la città,il mattino; più di ogni cosa speriamo di averne ancora.
Solo il cielo sa perché lo amiamo tanto.
Qui c’è ancora la festa: i fiori ancora freschi, tutto pronto per gli invitati, che alla fine sono solo quattro. Perdonaci Richard. In effetti, e dopo tutto, è una festa. Una festa per quelli che non sono ancora morti, per quelli relativamente in buone condizioni, per quelli che per ragioni misteriose hanno al fortuna di essere vivi.
È, in effetti, una grande fortuna.
Julia dice:”credi che dovrei preparare un piatto per la madre di Richard?”
“No”, dice Clarissa, “vado a prenderla”
Ritorna in salotto da Laura Brown. Laura sorride debolmente a Clarissa – chi sa cosa pensa o sente? Eccola, la donna della furia e del dolore, del pathos, del fascino abbagliante; la donna innamorata della morte; la vittima e la carnefice che ossessionava il lavoro di Richard. Qui in questa stanza c’è l’amata, la traditrice: una donna anziana, una bibliotecaria in pensione di Toronto, che porta vecchie scarpe da signora.
E c’è anche lei, Clarissa, non più la signora Dalloway: non c’è più nessuno a chiamarla così. E ha un’altra ora davanti a sé.
“Venga, signora Brown,” dice. “E’ tutto pronto.”
MICHAELCUNNINGHAM

2 commenti:

caino ha detto...

A me è piaciuto molto il libro, o almeno molto di più del film. Le scelte stilistiche che nel libro sono "nuove" trasportate nel film risultano incredibilmente noiose...

Andrea Miceli Rovito ha detto...

caino, le ore è stato il primo libro di cunningham ke mi è passato tra le mani. nulla paragonato a Carne e Sangue. io continuo a passarlo, a regalarlo. forse non è "annebbiato" come le ore, ma in assoluto uno dei libri che più mi hanno fatto disperare per l'ultima pagina.consiglio con eleganza. il film a me è piaciuto, the hours intendo, ma oggettivamente non sono oggettivo.