giovedì 10 maggio 2007

dare l’amore e dare la morte possono arrivare ad assumere uno stesso significato


Non è certamente azzardato affermare che Takashi Miike sia uno dei registi più innovativi, non solo giapponesi, degli ultimi anni. Autore di un numero impressionante di film (una sessantina in 13 anni), tra i quali opere di incredibile impatto come Audition, Visitor Q e Ichi the Killer (senza dimenticare il censurato episodio della serie Masters of Horror, Imprint), Miike ha segnato nuovi e originali percorsi nella rappresentazione della violenza al cinema, nel contesto di acutissime indagini sociologiche, raggiungendo vertici estremi ai quali pochi altri sono arrivati.

Il film presentato al Festival di Torino, Big Bang Love, Juvenile A (in giapponese 46-okunen no koi, e cioè "4,6 miliardi di anni di amore") si ferma un passo indietro, inserendosi nel novero dei film sperimentali (e non necessariamente commerciali) che Miike ha sempre girato nel tentativo di allagare i confini sempre troppo angusti dell’arte cinematografica. Un divertissement che conferma le capacità non comuni del regista giapponese, ma che tuttavia non riesce a elevarsi al rango delle opere citate in precedenza. Ambientato in un carcere, il film racconta l’amicizia tra i detenuti Jun e Shiro; il primo, arrestato per l’omicidio di un uomo nel bar dove lavorava, conosce in prigione il secondo, individuo dal fascino misterioso e magnetico. Mentre l’amicizia tra i due si trasforma ben presto in amore, Shiro riesce a imporsi con la violenza nel carcere, diventando ben presto uno dei detenuti più temuti e rispettati. Ma l’amore omosessuale tra Jun e Shiro avrà una conclusione tragica, con la morte, in circostanze poco chiare, del secondo.
Big Bang Love, Juvenile A si dipana secondo percorsi non lineari, ma piuttosto concentrici, ellittici; il racconto procede per accostamenti e salti temporali, come seguendo più le traiettorie mentali dei personaggi che una storia propriamente detta. L’intreccio è elaborato, fitto di riferimenti incrociati e rimandi intertestuali, mentre le scenografie irreali trasportano lo spettatore in uno spazio dalle coordinate imprecise, quasi che i personaggi non si muovano all’interno di un carcere ma in un ambiente estraneo, ostile. Miike conferma l’estrema poeticità della sua visione, destreggiandosi tra architetture spaziali non tradizionali e un cromatismo sfrenato che impasta le scene con tinte forti e cariche, e modulando la storia secondo un ritmo che musicalmente si potrebbe definire pianissimo, contaminando però la lentezza, che è chiave di lettura interpretativa, con significati che sfuggono sempre alla comprensione più immediata per cercare proiezioni diverse. Il disallineamento produce una frattura difficilmente ricomponibile, ma il fascino del film sta proprio nella capacità di mescolare i piani narrativi, spaziali e cromatici (e forse persino uditivi) senza smarrire l’impeccabile rigore della messinscena.
Questo sviluppo altalenante trova un efficace contraltare nella penuria di azione, in un’opera caratterizzata da lunghe sequenze statiche intrise di una teatralità che a tratti ricorda quella della coppia Straub-Huillet. Miike cristallizza l’azione, comprimendo i gesti in un unico flusso che spesso trova la sua forma più compiuta nella reiterazione, come nel movimento, sempre lo stesso, dei carcerati privi di identità che alzano e abbassano i piedi nell’acqua. Ed è proprio nello smarrimento esistenziale dei detenuti e nella coazione a ripetere gesti e parole che si rintraccia l’effetto perturbante di Big Bang Love, Juvenile A, metafora forse di una società avviluppata su se stessa e incapace di trovare forme più libere di espressione. Miike scardina la continuità concentrando la forza drammatica del film nei personaggi, in particolare Shiro, figura carismatica e misteriosa che accentra su di sé il potere e l’interesse altrui. Personaggi i cui movimenti non sempre pienamente comprensibili acuiscono il senso di disagio e incomprensibilità che si respira fino alla fine.

Un esperimento di cinema meno trascurabile di quanto si possa pensare, forse di non semplice comprensione per gli spettatori occidentali, abituati in gran parte a un approccio diverso alla narrazione cinematografica, ma la conferma di un talento mai banale, capace di arricchire ogni nuovo film con uno sguardo personale, che spazia tra generi diversi ma mantiene la propria identità e coerenza estetica. Lo sperimentalismo di Miike si distingue per l’originalità del punto di vista e la determinazione a non trascurare mai il tentativo di oltrepassare gli steccati troppo angusti della forma cinematografica.
da
http://www.drammaturgia.it/recensioni/recensione1.php?id=3137

lunedì 7 maggio 2007

lunedì 26 marzo 2007

Questo film è un capolavoro...





Ditemi perchè l'ho scoperto solo adesso...grazie a chi di dovere.
amen.

mercoledì 21 marzo 2007

domenica 25 febbraio 2007

Lo vedi o no?

In requiem
E’ come in un fiume lo vedi o no?
Ora muoio
Ho gli occhi chiusi lo vedi o no?
Sono infesto
E’ come in un fiume lo vedi o no?
Doma il mostro
E’ come in un fiume lo vedi o no?
Non sei più qui sei più lontano
E va bene così bene co…
Ed io morirò morirò di fame
E alla fine tu m’illudi in laude in laude
in laude

lunedì 19 febbraio 2007

Niente più conta...

Marzo. Vetri bagnati da stagione fredda. Due. Il contrario di…

Scendiamo.

Villa.

Piove, ma non rende fastidio. Potrebbero cadere pietre, sarebbe uguale. Non rende fastidio. Ci sediamo.

-E’ come quella storia del pub irlandese…se uno esce da quel posto non vuol dire sia irlandese…non trovi?

-Beh si,ma penso ci sia un certa differenza…

-E’ la stessa identica storia…non mi si può additare di nulla. È stupido. È sbagliato. È semplicemente scorretto.

-Nessuno ti addita. È semplice constatazione.

-Stronzate.

(Perché allora mi guardi in questo modo? Cosa pensi di trovare nel mio soffio di vita? Come mai siamo qui, io e te, e la pioggia, in una villa? Perché ti ostini a non voler sentire il bruciore della luce che illumina il tuo sguardo? Sto bene, qui adesso, sotto un tetto di rami spogli, sotto una pioggia che rinfresca il passato nascosto, ti ascolto, tu blateri, parli di storie di terzi per non sentirti partecipe di questa vicinanza che si crea, sotto una pioggia di marzo.)

-Ho sempre in mente un’immagine…le mani…quelle di mio padre

(Non piangere cazzo, potrei non reagire e sarebbe sbagliato, mi pietrifichi)

-Le mani di mio padre, vedo solo quelle,e i suoi occhi che mi guardano, che soffrono, ed io non riesco a reggere e devo obbedire alla natura imposta, io lo amo e sarebbe sbagliato, non vorrei…quelle mani, le mani di mio padre…la fragilità di mia madre. La mia natura a metà.

-Andiamo…

(le tue mani, i tuoi occhi,le tue lacrime, la fragilità tua…e mia)

Marzo. Vetri bagnati da pioggia di inizio stagione. Due, mai come prima.

Buio. Al riparo da occhi indiscreti.

Mi stringo a te, come te a me.

Una mano, la tua, nella mia. Una realtà manifesta, nascosta al mondo.

-Non mi si può additare di nulla…

-Non ci si può dir nulla contro

Un gioco, di spirito, il rincorrerci in un metro di macchina bagnata. Pugni di rabbia misto a riso. Karma Police, (grazie a voi). Una ciondolo al collo tuo, nelle mie mani.

-Nessuno può dirci nulla

(neppure le lacrime di un padre possono parlare)

Un rincorrersi nel cuore di una notte di inizio stagione, la nostra nuova. Stagione. Un pugno di rabbia, troppo forte, da spaccare il cuore, che va da sé, ubriaco di certezza nuova. Il ciondolo tra le mie dita, nelle tue mani, nei miei capelli, sulle tue labbra, sulle mie labbra.

Niente più conta.

Radiohead.

La nuova stagione.

Due…il contrario di.


domenica 18 febbraio 2007

RIENTRO A CASA


Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t' attende dalla sera
in cui v' entró lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostó irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non é più lieto:
la bussola va impazzita all' avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s' addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell' oscurità.

Oh l' orizzonte in fuga, dove s' accende
rara la luce della petroliera!
Il varco é qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ...).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Basta poco, un'idea di progetto, una vecchia canzone, una tazza rotta, un profumo...una poesia di Montale...
-Perchè leggi Montale?
-Ma sai...non sò...viene da se

-Viene da se...
Ed è subito nuovo mondo

venerdì 9 febbraio 2007

If I should fall to the field

Una qualsiasi forma nata da Ana Bagayan, che ti porta un mondo di suono quasi nuovo, quasi dimenticato. Lì, mi ricordo e lì mi riconosco. Steve Von Till e recupero il no sense. Stanza vuota di vetro placcato a nero. Un piccolo uomo, sempre quello, seduto nell’angolo buio tra il verde e il viola di un atmosfera familiare di onirica acustica nuova. Mi appartiene e non se ne và. Non può. Ancora Steve Von Till, che lacrima sulla mia postura malferma. Una scelta, un connubio, un ricordo, una mistificazione. Due mani, un sorriso, le grida, due occhi, le tue mani, le tue grida. Steve Von Till. La stanza nera. La pioggia. Solita posizione da piccolo uomo nell’angolo buio viola e verde. Una lama che trapassa il ricordo e quasi singhiozzo tra le note del fottuto Steve Von Till. E non posso farne a meno. Una chitarra nell’altro angolo della stanza. Emozione vomitata attraverso il mare che mi divide da questa (tua?) musica. Un pianto continuo. Incapacità nel gestire il vivido riflesso del divenire mio. E piango cazzo perché lo so fare e ne sono all’altezza.

Fanculo.

Steve Von Till. Fottuto chansonier maturo e sofferente. Amami nel dolore tuo e fammi certezza del suono tuo. Adorami con le tue certezze di svista verde e viola. Chiudimi nel delirio della stanza lasciami gridare lasciami supplicare lasciami qui nel mio angolo buio, lasciami nell’assurdo riflesso dell’oceano che mi divide da te. Legami dall’alto alla tua visione di pioggia incessante. Slegami dall’assurda inefficienza del quotidiano mio. Pregami di amare, il tutto riflesso e il mio.Lasciami con le mie paure di quello che temo di non potere non essere. Amami. Adorami. Liberami dal male. In me. E ne prego e ne chiedo.

Solo musica adesso la mia.

Seduto nell’angolo buio viola e verde della mia stanza ritrovata.

venerdì 2 febbraio 2007

OGGI VA COSI'



Gli Scissor Sister sono una pippa...

DELIRIO DELIRIO DELIRIO DELIRIO DELIRIO DELIRIO

martedì 30 gennaio 2007

The Heart Asks The Pleasure First

Succede che si naviga trastullandosi con insipienza e ci si trovi a fronteggiare una valanga di emozioni sorte nel mezzo del nulla vegetale. Amo questo film, amo questo piano, amo...non serve altro. non c'è null'altro da aggiungere. amo e tremo.

brividi.

sabato 27 gennaio 2007

Welcome n°2

C’era una volta e adesso non più un piccolo uomo alla ricerca di un posto, uno qualsiasi, magari in disparte, nel sociale sotto vetro. C’era una volta…adesso non più. Si sentiva libero solo nel vuoto, a fluttuare leggero in costanti rifiuti e mancanze di libero genio. Amava piacere il piccolo uomo, debolezza da infante, e delirio era s-perdersi in storie non sue. Leggeva il piccolo uomo, e amava quei personaggi tristi e bagnati che vivevano in pagine ricercate e necessarie, per poter andare oltre, quel suo buco nero e vuoto. Amava le storie tristi, quelle che lasciano nel petto un masso e negli occhi un senso di pozzo.
C’era una volta e adesso non più un piccolo uomo alla ricerca di un destino nel quale spargere i fili del proprio divenire e potersi annodare a qualcosa di assolutamente perfetto. C’era una volta…adesso non più. Credeva di riuscire a gestire le emozioni, le sue, in occasione dell’impatto con le altrui esperienze. Si sbagliava il piccolo uomo. I suoi libri mentivano per lo più. Amava sognare di una storia nuova…e il peso della ricerca lo sfiancava impunemente.
C’era una volta e adesso non più un piccolo uomo che non capiva un cazzo. Non riusciva a capire come una vecchina dall’aspetto gentile potesse comprare il cofanetto di It (incubi e fanculi). Non riusciva a capire cosa si potesse trovare di interessante nella luce che emanava un motore di una qualsivoglia vettura motorizzata. Non capiva come si potessero apprezzare personaggi come D’Alessio e Costantino. Non conosceva il francese e il russo. Voleva poter vedere da dietro una porta a vetri un cazzo di angelo senza ali, di quelli veri, mica di quelli creati dalla Thun, obesi e idioti. C’era una volta…ma adesso non più. Il piccolo uomo, coperto di stizza non si faceva una ragione dell’esistenza dell’asintoto,e del perché potesse esistere il termine “sigmoidale”. Era annoiato dal numero come dalla formula. Il libero fraseggio senza schemi e grammatiche lo riempiva di gaudio suadente.
Succede che il piccolo uomo un po’ si annoia delle continue e nette prese di posizione dell’altrui esistenza nei suoi confronti, un po’ molli, un po’ malaticci. Inizia il riverbero esistenziale e la presa di coscienza della propria faccia di culo. E si che la usa. E si che se ne aggrada. Il piccolo uomo si fa di spocchia. E l’acido si accompagna con fare interessante al livello di addito.
Crolla la maschera del piccolo uomo, ne esce con senso di situazione nuova e ideale. Ama piacere l’uomo ritrovato, debolezza di infante, certo e comunque, ma sensazione fresca, e fanculo le smorfie di finta indifferenza.
Madame e monsieur, la ragione è si dei folli, prego… che si affretti il popolo tutto.
Cambia la vita e basta seguirla.
Odio It e il numero decimale…la situazione a volte persiste.
In realtà il genio interiore malinconico e triste resta tale in quanto tale. E questa è sostanza nel reale.
È il continuo gioco delle maschere della vita che ci appioppano sorridenti che dovrà tener conto delle vittime sacrificate.
Si gioca, è tutto un game partorito da diabolici mangiafuochi. Ed io gioco, e voi, madame e gentil’uomini, fate una cosa, additami si, se vi fa star meglio, ma quando anche voi vi inizierete a render conto, inizierete a pensar di dover dar conto a chicchessia dei vostri eventuali cambiamenti, pensate al gioco delle maschere danzanti, a volte si balla col sorriso in su, a volte si balla col sorriso in giù. E sorridete, miei cari…non potrete più smettere di danzare…
Vivete sereni, nobildonne e cavalieri, non agitate troppo le vostre stanche membra.

Un’ultima cosa, però, con franchezza, i coglioni una volta che son rotti, non bisogna giocare nella prova di frantumarli…

PERSI

P E R S I _ L O S T


Parte linfatica l’esigenza della parola. Quella negata da sobrietà altrui. Spiegami il mondo, quello tuo, in ogni trionfo della nostalgia, adesso che puoi, in ogni trionfo della mia mania, anche se non vuoi, nel silenzio ti ritroverò. Come stai ad ascoltare il mare, ferma o danzante? Cantami quel dipinto, il verde è dietro? E il bianco? Cantami o diva.Sottile si snoda nella mente il mio deserto, una goccia di ruggine che inquina il nostro senso. Sentirti parlare mi manca d’immenso. Oggi provo a riviverti con un gesto. Mi taglio e scorre lento, un caldo di alcool e mente in giù. Cosa fai? Mi pensi? Parlami nella notte. Ti giuro, ti sento. Grida. Ti prego. Mi affaccio alla luna. Un piccolo gesto, come i nostri trascorsi. Mi manca la tua parola, quella sottile nelle mie orecchie, nella mia testa un tuo gesto accorto, un tuo bacio,sottile……e il mondo al di là. Piccola e indifesa, stupida con le mosse, luce del sud, del nostro sud, colore alle tue vicende. Protagonista malfermo, mi trovo nello sguazzo. E sempre più vorrei la tua parola, quella negata da idiozia altrui. Spaccami se puoi o buttami nel cosmo. Dì al tuo, di vita passata, che non rinneghi, che forse rimpiangi.
Dì all’idiota di morire nel silenzio.
Io e te lo abbiamo già fatto.Persi in una ragnatela di sangue.

martedì 14 novembre 2006

F R E D D A M E N T E



"Lentamente tra una pagina e l'altra di un libro qualunque ingannavo l'attesa gia' settembre poche voci distanti e un autunno distratto al di la' dei vetri quasi speravo che non arrivassi piu' quasi credevo che non mi mancassi eppure stavo aspettando..."

Va così...da giorni ormai. Va così.Un autunno dolciastro nella mia bocca. Sbatto i ricordi in una scatola di legno e quel fiore rosa mi urla in testa.

"credevo di sopportare la tua indifferenza cercando pretesti e rimedi inutili eri tu quel tasto dolente eri tu autunno dolciastro eri tu..."

Va così. E mi spiace così tanto...

lunedì 13 novembre 2006

2046




L'amore e i suoi paradossi, i suoi tempi sbagliati, un rincorrere/rincorrersi, un perdere/perdersi che restituisce all'amore la sua vera dimensione, quella del sogno, del rimpianto, dell'impossibilità di essere consumato. L'amore vero è sempre quello perduto, o mai vissuto. Ed è per questo che da 2046 non si torna, perché lì nulla cambia. Le ferite non si chiudono e dopo la prima volta, non c'è la seconda, ma solo cloni insignificanti della prima volta, ed è così per sempre. 2046 è un non-luogo dove proiettare in eterno i fantasmi del passato, il luogo dell'eterno ritorno...
"Quelle note, quelle note.. sono le nostre note.
Oggi, domani, per sempre stringo la tua mano.
Quando non capiranno, quando non capirai, quando non capirò..
E' ancora la mia mano a ricordarti chi siamo.
Vite straordinariamente rovinate.
Il dolore più dilaniante, l'assenza più sconcertante, il rimpianto più grande.
Ma hai la mia mano.
Non sarà mai eppure è per sempre.
Guardo il cielo, ogni tanto ha il colore dei tuoi occhi, sempre me ne regala la profondità".
Fede

martedì 7 novembre 2006

Passi come sale sugli occhi


"Perché sei e sempre sarai.
Per l’amore e per il blu,
per le storie e per le lacrime
le facce, il mare, l’oceano.
Per il tuo Oceanomare.
Per Baricco e Tabucchi.
Per La tua fretta.
I treni, le mani, ed i fiori rosa.
Venere e quel passaggio con i violini."

Capita che arriva un messaggio e ti dice le cose come stanno. Resti quasi imbecille. E lo rileggi. Provi ad immaginare un perché, logico e plausibile. E ti viene l’odio.
Tutto così. Non una voce, non una lettera, una di quelle che mi hai sempre scritto e vomitato addosso in tutti questi anni. Un fottuto messaggio che sa di beffa. “sai ho saputo che lei…”. E ti viene l’odio. Credimi. Ti immerge.
Ed ero pronto a non farne parola con nessuno, perché sai, è pur sempre cosa tua, ed io messere inetto pronto ad ingoiare un’altra mancanza, un’altra tua girata di spalle. E si ti viene l’odio, mia cara, perché alla fine non te lo aspetti. E quel novembre che è ottobre, che è fine mese, che è adesso, che è stato quando ero presente. E si, mia cara, ti senti mortificato del tuo non fare, del tuo cercare di dimenticare, quell’atteggiamento di scredito totale, e non succede altro che soccombere all’odio. E adesso si che si può. Lasciar perdere il tutto, il resto. E cagare quelle facce di merda che avranno, inebetiti, sorriso di un qualcosa che neppure lontanamente potevano capire. Mi hai tradito sul rush finale. E abbiamo perso. Io perché secondo. Tu perché squalificata.
E ti eclissa un odio. E penso a tutto. Dimmi dei libri. Ed ero li a parlarti di Seneca e Platone. Passaggi e riflessioni. Dimmi della vertigine. E cadevo nel riflesso. Ho bisogno di qualcuno. Sarei venuto in qualsiasi modo, qualsiasi momento. E alla fine quasi mi sento nuovo. Prendo aria. E la nuova luce ti rende stupida e volgare. Volgare per aver imbrattato il tuo quadro, quello di sangue, di anima e musica. Non hai più arte. Il maestro lo aveva notato. Ho maledetto il maestro, il poeta, il fingitore di sempre, l’ho maledetto per te. Ma fanculo. Quanto tempo. Quante lacrime. Non lo farò per te in seguito. Prometto e sigillo.
In prossima vita adesso sono io a dirlo.
Non cercarmi. Non lo fare più.
Passi come sale sugli occhi.


lunedì 30 ottobre 2006

Il poeta è un fingitore

Finge così completamente

che arriva a fingere che è dolore

il dolore che davvero sente.

Fernando Pessoa, Una sola moltitudine

domenica 29 ottobre 2006

Cuba tres jolie...


Ieri ho provato, in un chiaro stato mentale alterato, un sigaro.
In realtà non l'ho solo provato, me lo sono fumato tutto. Vabbè, ci sta. La mia lista delle 12450 cose che non ho mai avuto modo di fare ancora è stata spuntata di una tacca.
Il popolo tutto gioisce festante.
Per dovere di cronaca devo sottolineare la provenienza caraibica dello stesso. Un Fonseca servitomi come se si fosse trattato di un oggetto particolarmente prezioso ed invidiato. La cosa gradassa però è stato il rum Havana invecchiato di 14 anni portato come accompagnamento.
Devo dire mi sentivo molto Hemingway.L'atmosfera faceva troppo Cuba anni '30.
Detto questo, 2 piccoli accorgimenti utili per chi si appresta all'avventura:

1. Considerate che fumare un sigaro di dimensioni impensate lascerà nella vostra bocca un sapore di scarponi di alpino putrefatto per almeno le successive 24 ore (ed io da piccolo idiotes non lo sapevo...);
2. Sigaro Fonseca e rum Havana vi costano come due Boxer D&G della linea sport (ed anche questo...ahimè non lo sapevo...altrimenti...).


A proposito...fumare fa male. La mia era perversione.

giovedì 26 ottobre 2006

Orfeo

Se qualcuno lo ha visto passare...se qualcuno lo ha notato avvicinarsi con aria un pò così, se qualcuno ha ascoltato la sua voce chiamarmi...bhe, ecco...si faccia avanti.
...Penso passi da qui prima o poi...lo aveva promesso ed io sono qui in attesa. E si che è malato, e si che è ubriaco. Ma voglio andare con lui...alla luce del giorno.
Se qualcuno lo dovesse vedere...gli dica che io CREDO.
In lui.
Nelle sue mani.
Penso sia questo il momento. Lo sento addosso. "E' un caldo richiamo perchè ho bisogno di svegliarmi". Voglio ritornare alla vita.
RITORNO ALLA VITA.
Se qualcuno lo vede...gli dica che sono qui.

Ve ne prego...

giovedì 19 ottobre 2006

Incontri ravvicinati del IV tipo...


POCO FA UNO SCOIATTOLO, SULLA MIA TERRAZZA, MI GUARDAVA CON ARIA DI SFIDA!
SONO MOLTO STANCO!
MA COME CAZZO FA UNO SCOIATTOLO AD ARRIVARE AL NONO PIANO??
RIBADISCO:
SONO MOLTO STANCO!