mercoledì 31 maggio 2006

Raccontami una storia...

Jun*??...dimmi!...no, niente...??...

Jun*??...sono qui...raccontami una storia...che storia???...???...di treni e stazioni, di lacrime e respiri, una strada e una spiagia, un graffio...un luogo che chiami casa...

Jun*??...dimmi!...raccontami una storia...ok

Asfalto bagnato. Ombrelli. Corse di uomini. Bambini per mano. Qualcuno si ferma in mezzo alla folla. Si ferma per prendere tempo.

Bordi di strade. Scorci di vita. Graffi. Sangue. Alla gola. Graffi.
L’impossibilità di ingoiare ciò che ti lascia un esistenza ti graffia la gola.
Stazione e treni. Lei è stazione che aspetta il treno sul quale poter salire…per non morire.
Non basta respirare per vivere.
Non basta respirare.
Vivere è cosa assai più difficile.
Quando riesci a sentire lo spessore dell’aria che respiri.
Quando ti fermi bagnato di lacrime e sangue in una strada qualsiasi, davanti ad una stazione qualsiasi e dici :”ora io devo partire”…
Eppure il fischio del treno è sempre lo stesso di mille anni fa
Sei tu a sentirlo diverso.
È questa la verità.
Quando lo senti dentro sei pronto a partire, eppure il richiamo è sempre lo stesso. Il treno è sempre lo stesso. Ma ora…sei pronto a partire. Non più stazione morta. Non vuoi più morire.
Ora
Sentire solo l’odore di un esistenza smarrita e solo
Ora
Ritrovata.
Non esistono storie precise. Solo confusione. Tanta.
Da perdersi.
E poi ritrovarsi dentro te stesso e poi sopra un treno che pensavi ti portasse chissà dove. E invece…
Torni a casa…
Finalmente torni a casa.
Perché si torna sempre a casa. Prima o poi.
Se tu solo potessi capire cosa sia per me la casa…
Capiresti…
Io credo tu riesca a capire cosa sia per me la casa.
Io credo tu sappia dove sia la mia casa.
Jun*??...dimmi!...perdonami…

Àndre??...dimmi!...ti voglio bene…

lunedì 29 maggio 2006

Raccontami una storia...


Àndre??...dimmi!...no niente…???...

Àndre??...sono qui…raccontami una storia…che storia???...???...di occhi verdi e mani grandi, di silenzio e musica, un velo, un richiamo, il blu….un luogo in procinto di sparizione…

Àndre??...dimmi!...raccontami una storia…ok.

Immagina un mondo. Grigio. Ma non grigio grigio. Più un grigio verde. Il cielo è chiaro. È sempre grigio, ma è più un grigio nebbia. La terra è nera, ma non di tenebra. È più il nero di lava. Immagina questo mondo strano. Tralicci. Solo tralicci. Di legno poi…di certo non il massimo.
Il silenzio. Nella nebbia solo il silenzio.
Che musica il silenzio.
All’improvviso un ombra. Anzi non è un ombra.

È vero non è un ombra. È una donna!!
È vero è una donna.

Ma è nera?!?
È una donna. Nera. Bellissima.
È un angelo?!?
Certo.
In questo mondo?!?
È caduta.
Da dove?!?
Dal blu
Capisco…
Gli occhi…
Cosa?!?
Gli occhi…i suoi occhi…
Verdi?!?
I più bei occhi di sempre…i più bei occhi con i quali sia mai stato visto il mondo…
Ma sono solo verdi!!!
I più bei occhi che l’arte abbia mai desiderato…
Verdi?!?
È un angelo. Nero. Con gli occhi verdi.
È un angelo!!!
È caduta. O meglio è voluta cadere. li…in quel limbo.
Perché mai?!?
Per parlare…
E con chi?!?
Con la gente…
Ma non c’è nessuno!?!
Qualcuno l’ha chiamata…
Chi?!?
Qualcuno, un richiamo sottile…un soffio…un velo. Qualcuno l’aspettava…
Ma non vedo nessuno!?!
Abbi fede…lo incontrerà…
Ma chi?!?
Lui!
Lui?!?
Lui…
Ah Lui!!!
È un uomo…
Bhe si…
Bianco…grandi occhi i suoi…grandi occhi neri. Profondi come un abisso…
Come la notte?!?
Di più…
Come la lava?!?
Come la terra…
Questi occhi l’aspettavano. L’angelo dico…era atteso…e piange…
Chi?!?
Il verde…
È rugiada…
Sa di sale…
Allora piange…
Prende le sue mani. Grandi, massicce mani…una casa, la sua nuova casa. E bagna quelle mani di
roccia e di piuma. I suoi occhi, terra, entrano in lei. La rendono nuda. Rendono l’angelo nudo…un che di artistico. Era così. E continua a piangere. Continua a bagnare la sua casa…
Casa?!?
Il suo rifugio…il suo fuoco…il suo amore…
Amore?!? È un angelo!?! Lei è amore!!!
Ha rinunciato…
Non capisco…
Per amore…ha rinunciato. Ha abbandonato il blu immenso…per amare. Ha sentito il richiamo della terra, e si è gettata. È scesa. Adesso è laggiù. È scivolata dal blu. Ha preferito amare! Ha preferito quel mondo, quel limbo…quel luogo in procinto di sparizione…
Ma lui è un uomo…
È lei un angelo…
Per amore…solo per amore…
Ma lei è amore!!!
Ora lo vive…l’amore…ora lei vive se stessa…
Capisci?!?
Capisco…
Ma allora spiegami…perché quelle lacrime?!?
Quali lacrime?!?
Dell’angelo…le lacrime dell’angelo!!
Quale angelo?!?
???...mah…era li…

Immagina un mondo. Grigio. Ma non grigio grigio. Più un grigio verde. Il cielo è chiaro. È sempre grigio, ma è più un grigio nebbia. La terra è nera
Come la notte?!?
Come la dama…


Àndre??...dimmi!...ti voglio bene…

Jun*??...dimmi!...no niente...



27.VII.2004

domenica 28 maggio 2006

Camere Separate

Legge, di preferenza il Vecchio Testamento,in particolare i profeti Isaia, Geremia e Osea. Alla base di questa scelta non c’è solamente una predilezione estetica, forse piuttosto il fatto che ancora lui non sente la redenzione arrivata nella sua vita; e i vangeli gli appaiono come tableaux di una fiaba che non comprende. Quando invece legge Osea, quando riflette sulla metafora per cui Dio sceglie di concepire il suo popolo dal ventre di una prostituta; quando considera il fatto che Dio si rivolge al figlio con il linguaggio dell’innamorato, quando lo vede chinarsi sul piccolo Israele per insegnargli a camminare, tenendolo per mano; quando lo vede adirarsi per il tradimento e per la sordità con la quale viene ricambiato il suo amore estremo, allora Leo avverte in sé la propria vocazione religiosa come qualcosa di irrinunciabile. Non gode della serenità del mistico, ma solo dei turbamenti di un anima votata alla ricerca.
Più volte gli è capitato di dire “non posso vivere senza Dio, ma posso vivere senza religione”. Poiché se ha abbandonato la pratica della religione in cui è cresciuto e attraverso la quale ha imparato a segnare il mondo, il suo ambiente, i suoi sentimenti, l’ha fatto per una inconciliabilità di fondo fra la sua vita e il suo misticismo. L’ha fatto non solo perché portava la sua emotività, ma anche la sua sensualità, nella ricerca di Dio. Nello stesso tempo vedeva la religione vissuta in modo sdilinquito, atrocemente svirilizzato senza la passione feconda, la recettività violenta della femminilità o l’esuberanza della virilità. Una religione senza sesso per gli uomini che hanno paura delle passioni e della forza dell’amore. Una religione accomodante, borghese, il più delle volte ipocrita. Mentre invece, anche nella sua silenziosa preghiera, lui era consapevole di mettere in gioco tutta la sua sessualità. Per questo leggeva Osea. Perché in quelle pagine non c’era una visione esclusivamente mentale del rapporto fra Dio e il suo popolo, ma una rappresentazione di corpi, di prostituzione, di abbandono, di delirio della separazione, di rabbia di paterna protezione. Come succede, da sempre, fra gli uomini che si amano.
A volte gli era capitato di pregare, mentre faceva l’amore. Il suo sguardo si distendeva sulla nudità del corpo con una devozione castissima, addirittura verginale. Sentiva il miracolo di avere accanto a sé la bellezza della creazione e di poterla contemplare in silenzio. Di poterla toccare, assorto, con le punta delle dita così come, con lo sguardo, poteva accarezza, in certi tramonti la montagna.

Io voglio vivere seguendo la mia natura. Perché la mia libertà deve essere giudicata dalla coscienza altrui? Perché devo essere biasimato per cose di cui rendo grazie? Questo è scritto nella lettera ai Corinti. E allora perché devo pentirmi? Io desidero essere felice. Come espiazione mi pare già sufficiente il fatto di dover essere vivo. Non sono stati dieci, cento, mille uomini a salvarci, padre, ma uno solo; e se è bastata una vita, una soltanto a riconciliare in Dio quella di miliardi di creature, questo può solo significare l’enormità del dolore di vivere. Io non posso amare la religione del cilicio e della pena. Io vorrei amare la religione della pienezza. Vorrei essere felice nella mia religione, perché la sto sentendo come un bisogno biologico, come mangiare, come bere, come fare l’amore. Ma voi sembrate non capire questo. Io cerco di parlare con sincerità, ma voi negate la mia stessa esistenza. Eppure per quello che lei o io ne possiamo sapere, anche i cani hanno un Dio.

PIERVITTORIOTONDELLI

sabato 27 maggio 2006

Veste di fiori

Siamo io e te, ragazza n°#1. Camminiamo lungo una via che conosciamo da sempre. Si intravede la neve sulla montagna e il cubo CUD. Siamo vestiti a festa. Pare chissà che. Una macchina si accosta e siamo già dentro. Ragazza n°#1, sorridi estasiata ed io neppure mi vedo. Il rosa della tua bocca illumina di sensazioni. Adesso è sera. Davanti a noi, un ragazzo, camicia nera, pelle abbronzata. Di fianco un androgino. Non so se è bello. Non capisco se è vero. Tu continui a sorridere, ragazza n°#1, e loro sono già partiti. La guida del tizio mi innervosisce. Siamo in movimento ma la strada si allunga, o si ripete con coscienza. Siamo in movimento ma lo stop è sempre lo stesso istante. Siamo fermi e una macchina, bianca, enorme si avvicina. È tutto fottutamente vero. Chissà chi cazzo sono. Minchia che femmina! Risate. Rido e anche tu fantastica ragazza n°#1 ridi. Siamo completamente strafatti. Riprendiamo. Stavolta siamo affiancati dalla cassa di rotazione bianca, ed è tutto rallentato. Ed è mattina. La sensazione è quella di tramonto o alba. Si distingue la luce ed il colore di pesca. La macchina di fianco è piena di fenomeni. C’è un ragazzo tutto bianco. Biondo e viso triste. E appoggiato e i capelli non seguono il vento. Ma perché piange?. Di fianco, in piedi c’è una ragazza bassa, mi ricorda sinead. È bianca anche lei. È bionda anche lei. Dall’altro lato della macchina c’è una figura grassa. Non mi piace . mi inquieta. È truccata, ed è una faccia che regala morte. Nel mezzo, ragazze in piedi tra catene e neri che si muovono danzando. Facce bianche e mosse sinuose. Ma chi cazzo sono? Tu ragazza n°#1 scruti con simpatia. Io con orrore.
Il tizio che guida, accelera e va sbattergli contro. Loro si incazzano e vanno via. Solo creature fumose. Il tizio che ci guida, inizia a muoversi e a dimenarsi. Vuole che lo si baci. Gli accarezzo il collo, ma lui vuole dell’altro. Ho paura. Va sempre più forte. L’androgino dice di seguire le curve. Che cazzo significa? Il tizio che ci guida, dà di matto. Lo bacio sul collo abbronzato e lui si alza. Da adesso ragazza n°#1 non ti vedo più. Il tizio che non ci guida, scompare. La macchina sbanda, siamo in curva di ponte. Ci muoviamo per seguire l’andatura contraria. Sbatte a destra. Si gira su se stessa. Sbatte a sinistra, di fianco, di centro. Si spaccano i vetri, rimbalza sulla destra, distrugge i cordoli ed è….il volo.
Le orecchie iniziano a fischiare come se due casse avessero amplificato la mia morte. Il tutto è così doloroso per essere così rallentato. C’è dell’aria che inizio a sentire ovattata. La sento umida e gialla. Non è più sera. E mi sanguinano naso e occhi. Le orecchie implodono. Cazzo! Mi sento la morte. Catastrofiamo in erba, ma non vedo la macchina. Chissà se hai pianto ragazza n°#1. io mi trovo in piedi. Do dello stronzo al tizio dalla camicia nera. E mi trovo in piedi. Penso cazzo ce l’ho fatta, sono vivo e vedo la gente che mi corre attorno. Ma che cazzo vogliono? Chi cazzo sono? La bocca mi si riempie di sangue. E mi vedo esterno. E sento male. La lingua mi si spacca per lungo e perdo parola. Vomito sangue. Provo a muovermi e sono ancorato. Voglio muovermi, voglio trovarti ragazza n°#1. dove sei? Come stai?. Non riesco a muover neppure un passo. E voglio muovermi, voglio trovarti ragazza n°#1. voglio viaggiare e vedere la spagna. Voglio correre e fare l’amore. Non riesco a dire neppure una parola. E voglio parlare. Voglio gridare. E mi sembra inopportuno morire così. Mi sembra sbagliato prendere il volo e morire così. Il sangue inizia a bloccare il respiro. Sento caldo e mi vedo umido di rosso. C’è una signora che corre verso di me: ha una veste a fiori e grida. Capisco che grida, ma non la sento. Non ho più le orecchie. Viene verso di me. E cado.
Faccia in giù. Crollo in maniera così leggera che quasi mi sdraio. Ma crollo e non è volontario. Sto morendo. Lo capisco. Lo avverto dal dolore sfiancante e dalla testa che si spacca. E vedo nero e voglio urlare. Sento una lingua che più non dirà e mi affogo di sangue. E piango un ultima volta.

C’è una ruggine.
E sento più niente.

RoMa



Sono pronto. Ti chiamo quando parto. Stai attento (ma come?parto per la Somalia?). Ok. Tranquillo. Un bacio a mamma. Parto. Ridicole ferrovie. Fermo per un ora e un quarto in stazione di mare. Non fa caldo prendo sonno. Primo controllo. Inizio a fantasticare su chi mi alita lo scompartimento. Ragazzo. Signora. Ragazzo. Dunque: militare. Signore. Universitario. Auricolari. Libro. Auricolari. Vabbè: la noia. Mi adeguo alla media e mi sparo di Takk. Mi perdo. Sono convinto non esista situazione esistenziale migliore per godere della musica. Quella che si è in grado, e in coscienza di poter definire tale. Mi sparo di Takk. È la musica che mi sta portando: ovunque, in viaggio. Che strano. È verso nord. Jun* ti ricordi? La musica verso il nord, sensoriale, fisico, atmosferico. Fanculo Jun*, chissà dove cazzo sei. Ti sento vicina come Laika. Sacrificio immemore. Pare che in quel di Praga, nel XVIII secolo, una donna o un uomo, adesso mi sfugge il dettaglio, si sia innamorata/o di un vampiro e si sia a lui sacrificata/o. Mi pare adesso fosse un lui. Si è fatto prendere, si è spogliato delle luci e si è perso per sempre nelle costruzioni labirintiche mentali di quel nostalgico. Immagino il momento di perdizione. E lo tengo per me. Lo so, centra un cazzo,ma il viaggio è lungo e ti penso Jun*. Pensa a quell’atmosfera 700esca in quel di una Praga invernale e buia. Labbra viola e pelli bianche. Senso. Cazzo Jun*: perdonami.
Il sonno mi porta dopo Napoli. Sto salendo. Nuovi volti. Una donna cattiva. Un ragazzo cattivo. Manca qualcuno. Sale una musicista. Ciao. Ciao. Che strumento è? Violino. Figata. Che bella che sei. Mi ricordi qualcuno. Non saprei. Imbarazzo. Fai l’accademia. Sei di Salerno, ma vivi a Roma. Che bella che sei. Prendi sonno, giovane musicista. Ed io ti seguo, nel sonno. Lo accompagno, il sonno, con Alberto e famiglia. Dio ma dove sono? Perché questo effetto? Ma che mi manca? Mi si sciolgono le ossa e torni su Centrifuga, irriverente come sempre, Enik. E dura un attimo. E te ne vai. Meglio. Non ho voglia di te.
Campagne tricolori scorrono e si rincorrono. Riconosco qualche paesaggio. Mi trilla il tutto. Ciao. Ciao. Dove sei? Bho!?! Bene…sto per arrivare. Sicuro. Come va? Annoiato. Manchi. Ciao. Ciao.
Sento del movimento. Il viaggio si conclude. Cazzo, eterno!! Dove sei? In centro. Ci si trova a casa? No arrivo, aspettami, mi sto muovendo. Ok, a dopo. Sorrido. Eccomi finalmente. Domenica di rientri. Un circo. Domenica di partenze. Ma che ho messo nella borsa? Un cadavere? Idiota me. Ci sono. Aria di Roma. Sembra Jakarta! Dove stai? Ma cos’è sto casino? “C’è una manifestazione di extracomunitari”. Ah!. “Vogliono il permesso”. Capisco. “hanno bloccato la strada per termini”. Bene! Dove cazzo sei?? Heilààà!!!!
Sorella ti amo! Ho fatto un po’ tardi, era tutto bloccato. Tranquilla sono appena arrivato (falsissimo). Lui, bhe… è lui. Ciao. Sorrido. Non mi piace. Che si fa? Io vado. Ottimo. Noi? La strada è improponibile. Propongo metro. Vada per metro. Come va? Sto bene. Come sei bella Fè. I capelli si sono allungati. Gli occhi ti brillano. Sei molto pink. Sei molto donna. Elegante e sexy. Sei mia sorella, se ti toccano li smonto. Se ti fanno piangere, non basteranno mosse a placare la maestria di modi per staccare organi vitali. Sono felice e un po’ stanco. Policlinico. Si scende. E allora? Che hai fatto? Da quanto tempo non ci vediamo? Sarà Pasqua. Già…sei fatta bella, di più. Si lo so. Modesta come sempre. Sei mia sorella. Ti amo.
Sei sola? No c’è N. capisco. Domani va via. Ottimo. Ma cosa cazzo ho messo in borsa? Dio come pesa. Ti pesa la borsa? No! Sei un falso! Sei una stronza!
Ciao! Ciao! Tu sei il famoso Andrea…e già. Non sono presentabile e puzzo. Tranquilla, il viaggio non l’ho fatto nel sapone, ho anche io le mie vergogne. Che bello! Che bello! Che bello! (…?????) fè la tua amica mi sembra Pucca, o Pimpa. È umana? Che bello! Che bello! Che bello! Accertato:se è di razza umana è di raro interesse come soggetto. Mi è simpatica. Mi doccio.
La tua camera. È piena. Troneggiano foto e bambù. Ti ricordi? Un anno e tre mesi fa. Promette bene la piantina. Scatole ovunque, di ogni colore e forma. Messaggi e foto. Il puff: fantastico puff. Duro puff. 2 Winnie. Li odio. Lo odio. E foto. Tv, stereo, un altro winnie, che continuo ad odiare, fottuto mostro giallo sempre contento e minchione, cd e…foto. Libri, tenda, tappeto, biancheria, il mare, profumi e …foto: mi dicono del passato tuo e nostro. Sfianca vedere di Cefalù. Ammorba la 4 A del Pitagora. C’è del sangue che mostra cicatrici fresche. Il tuo scorre. Manca una foto dall’ultima volta. Ne manca più di una. Ma quella me la ricordo bene. C’è un diddle disegnato. Non dico niente.
Che si fa? Che ti va? Pizza? Andiamo giù? Viene Snorky? Non ti va? Nessun problema.
E il ricordo dei ravioli mi da turbinio. Pausa di estasi: buoni!! Tu prendi la carne. Lei la pizza. Il cameriere la odia. Un tizio lombrosiano di rara bruttezza. Lei si è avvelenata. L’odio reciproco ad occhiata iniziale mi commuove sempre. Grosse risate e lacrime di crudo.
Cammino per l’Ippocrate. Un ragazzo, un uomo, bacia una ragazza, una giovane. Sono felici. È relativamente tardi. Si guardano. Si fermano. Si trascinano in un portone e si baciano. Le ragazze che mi accompagnano sorridono soddisfatte, o invidiose. Io guardo la scena e penso ad Hikmet. Un filo illogico, bianche e neri, e l’amore sull’Ippocrate.
Ciao Fè. Sono stanco. Domani sono di Roma. E dormo in quel di Roma. La fantastica.
Buongiorno cara! Buongiorno caro! Che farai? Mi sento con Lo. Dove andrai? In centro. Ci vediamo dopo pranzo. Dobbiamo arrivare presto. I primi. Come no. Bellissima Fede, l’entusiasmo è ai minimi storici, ma arriverà, eccome se verrà.
Come lo prendi il cornetto? Io?bhe …vuoto. Sai che sei triste? Fanculo fè. Vado a termini. Vai all’uni. Ho da fare alla Scrofa. Dove sei? Alla Scrofa. Prego? Sto arrivando, aspettami al palazzo di giustizia. Lo riconosci, è facile, è tutto bianco. Ovviamente mi perdo e sperdo. Il bianco che noto è l’Ara Pacis, mi sento demente. Sbaglio ponte e svendo sguardi. Dio che caldo. Maledetta, dove sei? Mi siedo ai bordi di una vasca. Posso notare una chiesa, una suora di nero vestita con in mano un rosario di legno. Che scena antica. Che scena rivoluzionaria…c’è un funerale. Soliti fiori e corone. Ma il morto, che cazzo se ne fa? Io voglio solo palloncini per quel giorno, i colori in base all’età raggiunta quel giorno. Lo so neppure io me ne farò molto di quei palloncini, ma almeno non puzzano di morto. Una turista, mi piace pensare lituana, mi sorride e si ferma sulle scale. Penso di essere particolarmente turista quest’oggi. E mi piaccio un po’. Oh maldestra befana, dove sei? Svaporo docilmente. Non parlo e sono in attesa. La turista baltica mi è sfuggita. E finalmente ti vedo dall’altra parte della strada. Ciao cara! Sei una delle persone più strane che conosco. Mi piaci. E mi fai piangere dal ridere. Dove mi porti? Voglio vedere trastevere. Mi manca quella zona. Bene. Armati di caschi, in giro per Roma. Il tuo mezzo è sicuro. La tua guida non posso dire il contrario. Questa è santa maria in trastevere. Si entra. Tedeschi ovunque. Bella. Molto. L’ho studiata all’epoca del liceo. Si esce. Ti attirano dei pupetti che giocano in terra, non penso abbiano più di un anno. Ce n’è uno con degli occhi grandi e blu. “prenderà la lebbra!” come sei poetica e micidialmente acida. Sei quasi nuda. Te lo faccio notare. Non ti scomponi. Compro cartolina, per te Jun* e per Alfabel. Oh amica pingue, non mi piacciono le foto con i gatti, né i mercati traianei. Mi piacciono questa e questa. Jun* e Alfabel sanno quali. Mi porti sull’isola, ma prima prometti yogurt: puoi prendere tutta la frutta che vuoi…ehmmm…c’è tutta…ehmmm…fichi, pesche, albicocche…ehmmm…fragole, cocco, banane…ehmmm…mirtilli, pere, kiwi…ehmmm…lò? Si? Sono allergico alla frutta…lo prenderò, per cronaca, all’Oro ciock. Scendiamo sull’isola, mangiamo la kilata di yogurt. E la zona sa di piscio. E la zona sa di anni andati. C’è chi prende il sole, e chi prende lettura. Che stai facendo? Scrivo. Tu studi. Cerchi casa. Anche io. Mi piace parlare con te. Lo sai. E non ti dispiace parlare con me. Lo so. Penso all’aeroporto, fanculo che stronza. Colonia. Ancora ricordo con imbarazzo i freni del carrello…che fesso. Vai a lezione, mi lasci all’altare. Oggi napolitano diventa presidente alle 5. la via è bloccata. Ci rivediamo domani lò. Ok? Bacio.
Mi sparo via del Corso. Taglio e arrivo in Spagna. Sono le due. Caldo e gelati. Mi siedo e ho Roma negli occhi. Boy band e giapponesi. Spagnoli paciocchi e un bambino in lacrime. Mi viene voglia di abbatterlo fisicamente. Piange isterico e mi disturba. La madre sembra profondamente angosciata. Non è permesso alcuno sforzo di biasimo. Si deve stare zitto. La mamma lo accompagna via e già invoco “santa subito”. Mi fermo al sole. E mi svendo altri sguardi. Ti scrivo Jun*, perché ci sei sempre e poi qui risulti amplificata. Scrivo dell’altro e una dedica su un baricco fresco di feltrinelli. Mi sembra un angolo di dipinto. C’è un tizio che legge Suskind. Sembro io. Sono io. Mi stacco e distacco e mi osservo dalla rampa. Che ci faccio qui? Osservo il modo di impugnare la penna, il bracciale nero, la maglia verde, gli occhi verdi, penna a sfera. Che bello che è.
Mi lascio al fashion e compro cK.
Torno da Fede. Pronti per Carmen. Doccia. Cambio. E letto momentaneo. L’Eur è in culo all’Eritrea. Ohi l’entusiasmo??? Arriva, arriva…ma facciamo quella scalinata lunghissima??? Si arriviamo prima….idea del cazzo. Prendiamo il Pala nel culo. Le file sono almeno sette. Ci buttiamo in zona parterre. È tipo un pride nel frattempo. Ovunque. Tu vuoi andare alla sbarra. Non ce la faremo. Ti fanno togliere il tappo dalla bottiglia. Tappo di merda. Entriamo. Siamo vicinissimi ma non come vuoi. Sbuffi e vuoi il gelato. Sei un po’ nello scazzo. Qui scatta la genialata. Ti siedi e scordi la bottiglia, senza tappo. Una pozza umida. Non ti imbarazzi né scomponi. Con classe ti siedi sulla pozza e dici di stare fresca. Crei scompiglio nei vicini, ma crei per due ore una piccola bolla d’aria. Ti sono grato. Inizia. Un gruppo che già invoco e imploro canta una prima canzone che mi dà sostegno e giubilo incondizionato. Dopo la prima li odio di brutto e invoco mali perenni alla loro prole. Tu li maledici. Esce Carmen. E il resto e nostro.
All’uscita svendo i miei sguardi. Ancora e ti incazzi un po’. Ci sono due troppo divertenti. Lei cessa ed enorme. Lui figo e triste. Una macchina li sta per ammazzare. Ridiamo delle tragedie altrui. La macchina non li ammazza. E adesso altra sensazione di vuoto celebrale: il ritorno in mingazzini. Bus notturno. 250 cristi sanguinanti e con i chiodi smunti che salgono. Io e te ci troviamo un buon posto. Che risate. Un polacco o uno slavo con la tipa ci sono praticamente attaccati al culo. Le posrte se si aprono mi smontano la clavicola. Passiamo dal colosseo. Vorrei fermarmi, tu acida mi dici di no. Fanculo. Arriviamo a termini. L’ebete dell’autista mi apre come minacciato la clavicola. Ho gridato ai natali della madre e alle sua corna. Mi piego dal dolore. Mi chiedi sulla salute e risaliamo. Mingazzini non è troppo distante. Finalmente si chiude la giornata. Ma prima maledizioni ai tuoi sms notturni. Povero idiota. Tu sai chi.

Fino all’ultimo” si perdeva nelle sensazioni delle ore prima, per tutta quella notte fatta di luci, ovunque, gialle e blu, sull’acqua dell’eur e sull’anfiteatro, nel bar che cazzo mi hai fatto evitare alle macchine che dall’altro lato della strada ci suonavano contro, fenomeno circense ancora energico.
La mattina è del “signor tentenna”, omaggio incondizionato alla serata di acqua in occhi e la sensazione è quella di festa, attesa di un regalo. Oggi si incontra qualcuno. non so se riesci ad immaginare. Colazione di bar. Per me doppia, fame blu. Passo affrettato verso città mia futura, universitaria e afosa. Lo sguardo dietro il nero della maschera segue “Private Hell”, chiedo informazioni ad una ragazza bionda, non ha idea di cosa le stia chiedendo. Demoralizzato mi sperdo. Certo che un inferno tutto mio, geniale…ma dove cazzo stai? Non ti si trova, non mi ti trovo. Eccoti, finalmente, sei diverso, cazzo, sei più alto (sono più basso merda) e stai bene, sei accaldato, noto borsa, maglia, scarpe, hai gli okkiali, mi sfugge sguardo, non perdo l’imbarazzo. Cambio musica mi parte un misto di radiohead che nn potrei giustificare. Come stai?bene e tu? Stanco. La voce? A fanculo. Un tè di raro schifo accompagna le prime battute. Francesco? Mari? Il viaggio? Roma?Sporca. Meta prossima il centro dell’Urbe. Fantastica Feltrinelli. Mi fiondo per monografia Sigur. Non c’è. Non ci credo. E mi partono gli Afterhours più cattivi. Tu hai trovato il necessario. Fede la dirotto sul Tondelli di cui già. Compra anche la ragazza dello sputnik. Tra tre giorni mi ringrazierà. Tu non so cosa cazzo hai. Sembri strano, si ci stà, ma mi fa sentire inappropriato. Dove vogliamo andare? Pantheon?Trevi? andiamo al pantheon nn l’ho mai visto, solo disegnato. Ok vi ci porto io. Pausa pizza al peso. Buona. Giro per strade secondarie. Ti guardo con in testa un momento di stasi Mogwai. Mi dispiace, sai. Di tutto. Nn sei tu oggi. Lo sai. Me lo farai capire. Ecco il pantheon, riconoscibile dalla puzza del terribile mc donald di fronte più che dall’americano zaro in infradito e cono d’ordinanza. Si entra? Certo. Volete andare all’opera domani sera? Si fanculo, io domani sono giù. Dentro è meno caldo. Cazzo sembri un bimbo. Nn so qnt volte ci sn entrato. Con te è cm per la prima volta. Perché nn piove dentro? E che ne so kiedi all’artista. Perché nn piove dentro? Nn lo so. Stikazzi. Dove andiamo? Mi sento bandabardò, uno due tre stella e vi porto a trevi. Si ok, non me lo avete chiesto ma voglio arrivarci io. Via delle vergine e delle zoccolette. Risate di infanti. Eccola. Fantastica. La amo. Per me è roma tutta. Ci sediamo. Fede fa la turista. Legge storie di sputnik. Come stai?bene. dai cazzo dimmi come stai. Mi diverto con voi. Sei giù. No. Ok. Che farai? ….
Ho sete e mi gira la testa. Un tizio mi guarda. Mi ha fatto l’occhiolino. Non te ne sei accorto. Rido. Ma nn te ne sei accorto. Ah magica roma, magica trevi. Prendo da bere. Fede vuole gelato. Mangia troppo sta ragazza. Vuoi il gelato? No. Ok.
Barberini è lontanissima. Giapponesi in fila. Tedeschi in gonnella. Magica roma.
È un rincorrersi di musiche in qst momento. Tutta quella tua. Chissa qnd ci rivedremo. Chissà che faremo, che farai. Cazzo ma io devo prendere il treno. Che palle. Policlinico. Via mingazzini. O devi prendere il bus in via regina margherita, hai capito? Si. Ti perderai, ne sn quasi certo. Vorrei abbracciarti. Così. E basta. Ti abbraccio. Anto, fai il bravo, prenditi cura dite, non sei solo, quando vuoi ci sn sempre, se hai bisogno di qlsiasi cosa, nn pensarci troppo e kiama, anto cazzo ti voglio bene, mi hai capito si o no? Sei proprio uno stronzo fottuto col cervello bruciato, ti voglio bene. Ma non te le dico qst cose.
Ciao. Ciao.
Alla prossima allora. Ok. Alla prossima.
E te ne vai. E me ne salgo.
Borsone pronto. Mi cambio. Sono triste. E si vede.
Fermata bus. Bus. Stazione treni. Treno.
Parto
E sono triste.
Sn triste e si vede.

A presto roma tutta. Grazie fantasmi amici.

giovedì 25 maggio 2006

PALUS PUTREDINIS


composte terre in strutturali complessioni sono Palus Putredinis
riposa tenue Ellie e tu mio corpo tu infatti tenue Ellie eri il mio corpo
immaginoso quasi conclusione di un estatica dialettica spirituale
noi che riceviamo la qualità dai tempi

tu e tu mio spazioso corpo
di flogisto che ti alzi e ti materializzi nell'idea del nuoto
sistematica costruzione in ferro filamentoso lamentoso
lacuna lievitata in compagnia di una tenace tematica
composta terra delle distensioni dialogiche insistenze intemperanze
le condizioni esterne è evidente esistono realmente queste condizioni
esistevano prima di noi ed esisteranno dopo di noi qui è il dibattimento
liberazioni frequenza e forza e agitazione potenziata e altro
aliquot lineae desiderantur
dove dormi cuore ritagliato
e incollato e illustrato con documentazioni viscerali dove soprattutto
vedete igienicamente nell'acqua antifermentativa ma fissati adesso
quelli i nani extratemporali i nani insomma o Ellie
nell'aria inquinata
in un costante cratere anatomico ellittico
perchè ulteriormente diremo che non possono crescere
tu sempre la mia natura rasserenata tu canzone metodologica
periferica introspezione dell'introversione forza centrifuga delimitata
Ellie tenue corpo di peccaminose escrescenze
che possiamo roteare
e rivolgere e odorare e adorare nel tempo
desiderantur (essi)
analizzatori e analizzatrici desiderantur (essi) personaggi anche
ed erotici e sofisticati
desiderantur desiderantur
Edoardo

martedì 23 maggio 2006

Morbida


Oggi ho avuto a che fare con il blu. Un alveare di spirali. Riesci ad immaginare posto più coperto e pregiato? Più proprio e silenziosamente protetto? Un blu morbido sospeso tra il nero e il cotone. Che ingannevole circostanza quella che mi spinge a chiedere lui riparo. Alla fine tutti vanno cercando un qualcosa, una sorte di verità incondizionata che spinge chiunque abbia una possibilità, alla riscossa interiore, alla presa di posizione, netta, di accredito primario. Certezza sociale che dia appoggio, solidità e candore. Una infinita gioia che è implicita nella ricerca dell’uomo in quanto essere, che diviene meta agognata, sensazione di bagno di sole. La forma di questa gioia appare ricercata e molteplice, la danza dei colori che lo compongono, non conosce stasi.
Oggi ho avuto a che fare con il blu. La gioia, ha assunto quella sembianza, e li mi sento protetto. Necessitavo di finzione, necessitavo di musica che mi rispondesse, che provasse a farmi capire l’importanza, del blu intendo. Gioia infinita, compagna fittizia, con la quale, grazie alla quale riuscire, a prescindere da cosa…riuscire.
Sono stanco ma ci sono. Ho trovato quella sensazione ufficiale di benessere moderato e per niente volgare che mi fa sorridere a luci spente.
Sto tranquillo. Per oggi grazie.

lunedì 22 maggio 2006

Can I?

Paesaggio senza ferro da stiro


Inizio ciclico. Perdizione.
Ecco il nuovo barnum. Speranze e accrediti si susseguono con furbizia. Ecco un ticket, eccone un altro. Benvenuti sparvieri e gioconde, madame di belle corti ed eroi di provincia drogata. Si muovano giullari armeni, che dimentichino i loro trascorsi bruciati, si muovano artisti di vetro e fuoco indorato. Musici e madonne, pensatori lignei e papi arroganti. Si presentino alle vetrate bohemien stanchi, tir nei cortili e cristi sanguinanti, pronti a leccare le ferite avvelenate sorridiamo impazienti. Sfere di fumo in continuo movimento, solitudini stancanti e ricercate fotografie di stazioni . magica Jun* e irreverente Enik, siate pronti all'indecifrabile e lasciate tenerezze al vuoto. Vedrete sangue e neri bollenti. Berrete santità, se ne siete capaci. Ecco un accesso alla follia, o l'uscita da aridità. E musiche d'intorno pronte ad accellerare il battito dei sensi. Viaggio incondizionato, meta da valutare. Barnum fantastico dove tutti, santi e angeli pavoni, potranno essere liberi di dire e muoversi. Tutti i figli di dio possono considerarsi creature ultime ed avere la possibilità, qui, di continuare a danzare.