venerdì 7 luglio 2006

Festa


Che minkia d’ora è?dio sono le 4 e mezzo. Ho un mal di pancia da parto. Giornata alquanto lunga quella di oggi. Iniziamo bene. E adesso che si fa? Se mi alzo ed esco dalla camera i miei si inquietano di brutto e mi kiedono con cortesia preoccupata di tornarmene a letto. Bene. Pensare dunque. Musica. Chiaro. Mi sparo fortissimo nel cranio un Onan di serate amare. Le cuffie sono quelle nuove. Provo ad alzare le tapparelle della mia porta finestra. Fuori ancora nn c’è luce. Sento neanche troppo lontane le macchine rincorrersi l’un con l’altra. O forse no. O forse si. Seguono un orario. Rincorrono l’alba. Penso a chi si trovi già, o ancora in macchina a quest’ora del mattino, o della notte. Non decido se buttarmi nella consapevolezza della giornata nuova o se ancora trascinarmi ed aggrapparmi alle ore del giorno passato. Vado di Verdena fino le 6. non ce la faccio più. Necessito di colazione. “non ce la fai a dormire?” no. “come stai?” come vuoi che stia? Sto male, sn agitato, ho paura di fare la minchiata proprio alla fine, temo il giudizio. Odio il giudizio. Sto agitato mà. “è normale!” si penso di si. “Andrà benissimo”. Speriamo. Sono disfatto. Che buono quel profumo di caffè appena fatto. Aroma di sentimento casalingo. Caldo. Riconosciuto. Mangiamo assieme. La mia tazza è verde, c’è il disegno dell’africa, con tre bambini stilizzati, sono colorati e si tengono per mano. Nella tua mà c’è il colore dell’Asia e i bambini non si tengono per mano, giocano separati. A volte uso la tua tazza mà, lo sai? Se ci penso non ricordo mai una volta, mai una mattina senza il caffè, o caldissimo nella sua macchinetta, o tiepido nel suo barattolo di vetro. E mi trovo con sguardo a palla su 2 tazze di mondo altro. Me ne torno in camera dopo passaggio di sbarbo e doccia sul fresco. Adesso la stanza è illuminata da aria di mattino. Attacco i Sigur e chiedo loro una parvenza di calma incondizionata. Chiudo gli occhi e già mi vedo su di un molo invernale. La mia stagione. La mia sensazione preferita. Mare, crepuscolo. Gelo. La compagnia unica. Quella ricercata. “che ascolti?” sono i Sigur, mi danno calma. “sicuro che non ti agitano ancora di più?” ecco qua, sminkio profondo. La mia musica appartiene ad una razza rara e bastarda. Povera. Milàno parte da Takk e premo tasto rip. Andrà per i prossimi 40 minuti. Le possibili bestemmie del vicino mi vestono di insipienza. Alzo il volume e sorrido. Il primo sorriso del 6 luglio 2006. inizia fase vestizione. Mi incamicio et incravatto. Mi inpinguino a dovere e sono pronto per la mattanza di neuroni. Fase uno: arrivare al cubo predestinato, sedermi, far finta di essere altrove. Fase due: aspettare conforto. Mi trovo dentro. Penso e ripenso a nomi che sanno di esotico e carta gialla. Penso e ripenso a nomi che sanno di umido e sentimenti bruciati. Nella testa si muove un filo di illogiche sensazioni; quelle che pervadono l’animo nei momenti di sclero, per cui tu ti trovi ad aver a che fare con tutto quanto quello che non c’è, con tutto quanto quello che vorresti ci fosse, e naturalmente, ovviamente, non c’è. Si inizia. Passano con insipienza un certo numero di rachitiche ed oscene. Madonne di mari e linguaggi di provincia. Cimiteri montani e il peso di Dante. Altro non sento. Arrivi tu Jun*. E altro non c’è. Mi si accelera il mondo, e sono contento. Sei la mia sottile linea bianca. Ecstasy catartica. Ciao. Ciao. Perché mi hai chiamato? Perché sei una testa di cazzo, magari nn ti ricordavi. Sei stupido Andre. La vuoi adesso?che cosa? Nn fare la stupida. L’hai fatta verde? Bhe…a me piace, se vuoi te la faccio fare di un altro colore. Sei stupido Andre (si sono un cretino) Ma ti devi sposare? Hai visto che figo?di la verità. Sono proprio bello oggi. Sei stupido Andre (si sono un coglione). Emozionato? Si un po’(mento ferocemente, potrei scappare). Avanti c’è posto. Voglio stare qua. Bene. (cazzo le lacrime no, ti prego dio, nn fare scendere quelle lacrime) fai il bravo. E mi dai uno skiaffo. Si continua. Ripassano con ancorata insipienza altre tizie che meriterebbero l’ergastolo per oscenità pubblica. E si passa da Menandro a psicologie generali. Paesi marini e il sempreterno rompikazzo di Dante. Venga il candidato Andre. Ecco potrei svenire. Sai che spettacolo grottesco. Presentazione che sa di altra storia. Viso amico. Albe. Dio grazie Albe. Ed inizio di mia storia e sentimento. Mi si chiede di me in qst storia. Sa di me. E nessuno sa di più. E vorrei vedere le facce, entrare nelle teste di chi sta dietro. Mà, Pà, chissà che state pensando. Chissà se siete orgogliosi. Chissà se mi volete più bene dopo tutto questo. Ed ecco quel rapporto malato che si crea tra il poeta ed il malato d’amore, le vicissitudini relative ad una relazione amorosa vissuta come patologia di intenti che lascia interdetti ed incapaci di prosieguo. “Vedere il Ferrari inserito in un contesto sociale di provincia bruciata dalla vita e la fuga di salvezza nell’origine ciclica di realtà alternative. Il parallelo inoltre tra le visioni poetiche artistiche del Ferrari con quelle di Agnelli e di Godano, cavalieri esemplari della poesia alternativa che affrontano le realtà umide ed annebbiate di amori passati e dolenti. Inoltre i contesti, realtà di sfondo, e fondo, all’interno dei quali prende a muoversi questo grido di esternazione. Ambienti nuovi, fuori dalla logica d’insieme del sociale sotto vetro, che rispecchiano in maniera anomala e trasgressiva un’esigenza interna di inadeguatezza al mondo. La crisi di presentificazione dell’io che si manifesta nella fuga in Paesi delle Meraviglie, sola possibilità che si ha, in coscienza, per riuscire a divincolarsi dalla Fine dei mondi”. Non mi rendo conto di un emerito cazzo. Parlo e parlo. Mi si ferma e mi si domanda. Rispondo e continuo. Mi si richiede altro e rispondo a quest’altro. Per noi tutti può bastare. Applauso. Ho finito. Mà, Pà. Esco. E la gente mi sta subito addosso. La gente mi vuole bene. Strano non trovi? E non voglio altro che stringerti. Ti vedo che stai piangendo.mi viene da piangere. E la gente mi ferma e si congratula. Ti sposti verso la porta. Sembra che gli altri non ti vedano. Cazzo fatemi passare. Ti fai sempre più piccola e continui a piangere. Dio. Dopo, arrivo dopo, adesso devo andare da Jun*, dalla mia Jun*. Auguri e strette di mano. Grazie e grazie. E fanculo fatemi passare. Jun*. Non penso di aver ricevuto abbraccio tanto intimo e prezioso. Ci siamo trovati dentro. Tu in me. Io in te. E solo tu. E solo noi. Grazie. Perché sei e sempre sarai. Ho sentito i tuoi singhiozzi. Ti ho fatto sentire i miei e non lo farò mai più. E te ne vai. E mi lasci ad amici e parenti. Grazie per essere venuta. Grazie per essere. E mi ritrovo immerso in una situazione staccata. Vedo toghe. E sono nere. Vedo fiori. E sono girasoli. La gente mi sorride. Ed io sembro un piccolo campione. Mi si proclama dottore. Il voto fa invidia. Massima degenerazione dell’autoesaltazione dell’io. Sorrido di gusto questa volta. E vedo Fede. E vedo Mela. E vedo gli altri. Mà, Pà. La sera è altra storia. Quella del 6 è vissuta così.

3 commenti:

caino ha detto...

Complimenti "piccolo campione"! Sempre che il post corrisponda ad un avvenimento reale...

Andrea Miceli Rovito ha detto...

Ringrazio pudico, caro Caino. L'avvenimento è si reale e la cosa ancora ha i suoi postumi. confusione etilica. tutto qui. mi troverai presente tra i tuoi post qnd avrò lucidità. Caino: il nick mi suggestiona; a te il colore.

Platone (il falso) ha detto...

"E fanculo fatemi passare" ...
avevi bisogno della luce, eh? avevi bisogno di lei che fosse luminosa, e cancellasse le ombre della paura. E se non menti è speciale. Prima di saltare tremano le gambe, ma hai corso troppo per cadere ora. E solo quando atterri ti rendi conto di aver saltato più di quanto credevi di potere. Alla fine strappi ciò che meriti.
Però non mi schiattare, fatti sentire in msn!!!!!